sabato 26 ottobre 2024

dove sorge il Lambro..sorgente Menaresta

Gruppo Naturalistico della Brianza - Associazione per la protezione della natura in Lombardia - ONLUS
La sorgente del Lambro: la Menaresta

La sorgente del Lambro: la Menaresta

Al compiersi del 40’ anno di attività, il GRUPPO NATURALISTICO DELLA BRIANZA, ha voluto dare inizio ad un nuovo grande progetto: la tutela della sorgente del fiume Lambro, la fonte Menaresta.
Si tratta di una sorgente insolita, perché intercalare, situata in un luogo di gran suggestione, e quindi da conservare gelosamente, affinché altri, dopo di noi possano goderne.

Ma per ben agire sulla natura bisogna prima conoscerla bene, per non commettere errori e danni. Quindi come primo atto di questo progetto, abbiamo voluto far eseguire da esperti delle diverse discipline scientifiche, alcuni studi preliminari, cui faranno seguito studi più approfonditi e progetti particolareggiati.

Cesare E. Del Corno
Presidente del GNB

PRESENTAZIONE

Il Lambro, il principale fiume della Brianza che aveva la triste fama di essere tra i più inquinati della pianura lombarda – nasce proprio nel cuore del Triangolo Lariano, ad una quota di 944 metri presso il Pian Rancio e, almeno in questo suo primo tratto, scorre ancora limpido, in ambienti non eccessivamente degradati dall’uomo.
La sua sorgente si trova immersa in un magnifico bosco di larici e abeti, i cui aghi determinano una copertura continua del suolo con conseguente povertà floristica del sottobosco, ma conferiscono all’ambiente un’atmosfera quasi incantata.
Il nome di questa sorgente, “Mena-resta”, rispecchia la sua caratteristica più curiosa: ha infatti una portata variabile, ovvero in alcuni momenti versa abbondantemente acqua e in altri meno.
Tale curioso fenomeno è dovuto alla natura carsica della zona e alla conseguente presenza di cavità nella roccia calcarea che si riempiono molto lentamente per poi svuotarsi in un solo colpo come una sorta di sifone naturale.
Narra un’antica leggenda che Autari, re dei Longobardi si fosse convertito al Cristianesimo grazie al ritorno delle acque nei fiumi della Brianza, a partire da quelle del Lambro con la rinascita della Menaresta, ottenuta dalle preghiere della Regina Teodolinda.

Come si raggiunge

Dal paese di Magreglio (744 m) si arriva con una strada carrozzabile alla località Pian Rancio (973 m) dove c’è la possibilità di parcheggio. Qui si seguono le indicazioni per il lariceto dove sono le sorgenti del Lambro.

Inquadramento geomorfologico dell’area

La struttura geologica che alimenta la Sorgente del Lambro si sviluppa in corrispondenza dei rilievi prealpini a morfologia accidentata con valli incise, creste pronunciate e notevole pendenza dei fianchi montuosi. È in altre parole il risultato combinato dell’azione dell’orogenesi e dell’erosione che ha portato all’affioramento di una spessa sequenza carbonatica mesozoica, i cui singoli termini sono individuabili percorrendo le valli del Triangolo Lariano da Nord verso Sud.

Nella porzione orientale e Nord-orientale, ivi compresa la Sorgente Menaresta, affiorano le rocce più antiche. Si tratta in questo caso di formazioni triassiche ove frequente è la presenza di dolomie e calcari di scogliera, testimoni della prevalente deposizione di carbonati in un ambiente marino tropicale/equatoriale con acque relativamente poco profonde.

Queste formazioni si presentano spesso in grossi banchi rozzamente stratificati con una buona resistenza all’erosione ma non alle sollecitazioni tettoniche testimoniate da considerevoli fasce di detrito ai piedi delle pareti principali.

Come già detto, tutta l’alta valle del Lambro e con essa la Sorgente Menaresta risulta incisa nella formazione triassica della Dolomia Principale cui fa seguito, verso meridione, la Dolomia a Conchodon ed ancora più sotto i Calcari di Moltrasio (Giurassico – Lians inf.).

Questa successione carbonatica è facilmente individuabile su estese porzioni rocciose prodotte dai movimenti differenziali esercitati a livello della crosta terrestre ed oggi affioranti senza essere occultate da coltri di depositi sciolti superficiali.

Se per i termini più recenti della successione carbonatica i motivi strutturali hanno reso un contributo più che apprezzabile al modellamento morfologico, citiamo per importanza l’articolato sovrascorrimento di Canzo – Caslino d’Erba, nei territori triassici, sia per l’età più antica sia per la maggiore fragilità delle rigide masse dolomitiche calcaree, l’assetto strutturale è dominato unicamente da faglie e fratture d’ordine minore che hanno suddiviso il substrato in diverse porzioni.

Se dal punto di vista idrogeologico la sorgente del Fiume Lambro è individuabile sul Piano Rancio in località “Menaresta” (922 m s.l.m.), sotto il profilo idrologico il corso d’acqua nasce qualche centinaio di metri più in quota (1324 m s.l.m.) lungo il versante esposto ad oriente del Monte Forcella.

Qui possiamo facilmente distinguere il solco inciso nella roccia dalle acque di scorrimento che alimentano il bacino idrografico del Lambro; si tratta però di apporti legati perlopiù alle precipitazioni meteoriche, tanto che il letto dell’alveo rimane praticamente asciutto per gran parte dell’anno.

È quindi a ragione che la sorgente del Lambro è comunemente indicata in località Menaresta da dove scaturisce attraverso una frattura aperta nel basamento dolomitico.

Ha una portata pressoché continua per tutto il corso dell’anno, ma ad un attento esame mostra un andamento intermittente o meglio intercalante dove, a periodi con modesti apporti, fanno seguito intervalli con sensibili incrementi di portata per poi ancora ristabilire il volume primitivo.

Questo particolare andamento, tipicamente associato alla litologia della formazione triassica, è prodotto dalla presenza di un serbatoio d’acqua sotterranea collegato alla bocca d’erogazione della sorgente per mezzo di un condotto a forma di sifone rovesciato

Quando il livello d’acqua nel serbatoio raggiunge il livello corrispondente al gomito A del sifone, la sorgente incomincia ad incrementare gli apporti sino a che il livello dell’acqua nel serbatoio scende al livello B.

Da questo istante la sorgente riduce la portata sino a che le fessure di alimentazione non hanno riempito nuovamente il serbatoio al di sopra del livello A.

Per continuare a fornire acqua anche durante la fase di ricarica, è probabile che nel ramo discendente del sifone vi siano alcune fessure che alimentano perennemente la sorgente come ipotizzato sulla figura

Le sorgenti di questo tipo non sono infrequenti nella nostra regione, basti pensare alla “Pliniana” nei pressi di Torno, che presenta tre riduzioni di portata, anche se non molto regolari, nell’ambito di 12 ore d’osservazione.

Abbiamo accennato in precedenza all’importanza della litologia per comprendere meglio il particolare assetto idrogeologico che si è andato ad instaurare: ebbene, per quanto il grado di solubilità delle dolomie sia nettamente inferiore a quello dei calcari, non è raro osservare manifestazioni carsiche anche nei pressi della sorgente, su rocce quindi dolomitiche. Qui il processo di carsificazione è però decisamente più lento anche se sì riproduce con le stesse modalità e caratteristiche di un basamento calcareo. Non è raro trovare nelle rocce dolomitiche grotte, doline, voragini e sorgenti, anche se lo sviluppo della circolazione idrica sotterranea si attesta su valori ben più modesti rispetto al modello calcareo.

Anche per questo la Sorgente Menaresta rappresenta una peculiarità della nostra regione, un esempio di una particolare condizione geologica da preservare. Vista la vulnerabilità dell’ambiente si rende pertanto necessario procedere ad un’indagine conoscitiva pluridisciplinare per avere un quadro reale e più approfondito in grado di fornire indicazioni per la gestione e salvaguardia futura della sorgente.


La fauna bentonica

La scintillante medaglia che negli ultimi decenni ha certificato l’evolversi dell’economia brianzola, ha il rovescio scolorito e il corri-spettivo inquantificabile della bana-lizzazione ambientale.

“Un’architettura” under-ground, sub-metropolitana si è insinuata nel patrimonio storico (e culturale); l’anfiteatro morenico dei colli “beati e placidi” ha il respiro pesante e l’ansia sottile di un futuro incerto. Un crinale profondo, muta-geno, nelle risorse e nei valori divide, rispetto ad un recente passato, l’identità di questo territorio. Una perdita quasi silenziosa ha intaccato i contenuti endemici del paesaggio, la salubrità dell’aria, dell’acqua, dei suoli, delle coscienze, qui come altrove, per a caduta etica nelle logiche di progresso.

Gli ecosistemi acquatici, notoriamente snello fragile nella catena degli equilibri territoriali, sopportano, attraverso la loro compromissione, il peso più grave.

Un fiume come il Lambro ed i suoi tributari sono passati da una natura dignitosa e da una capacità biogena senza paragoni a squallide funzioni, peraltro insostenibili in una gestione responsabile del patrimonio idrologico: organo filtratore ed escretore di un’area antropica satura di veleni.

La natura – a differenza di un costume che sullo scempio ambientale costruisce la propria credibilità – edifica in altro modo e segue il proprio iter cercando nuovi equilibri.

Nella fattispecie, poco conosciuta, dell’ambiente fluviale si osserva un fenomeno involutivo delle forme di vita minacciate, come un rinchiudersi od isolarsi fino al passaggio dell’evento catastrofico, cosicché il territorio non antropizzato (quello orofilo è il più ricorrente nel nostro comprensorio) è diventato quasi una nicchia ecologica, un ricovero per organismi altamente specializzati, che richiedono un habitat di qualità superiore per la loro sopravvivenza.

Nelle catene alimentari acquatiche la fauna bentonica (da benthos = fondo) svolge un ruolo primario costituendo una delle strutture basilari del quadro trofico.

La più semplice in verità è costituita dalle comunità perifitiche (quella sorta di patina che ricopre i ciottoli del fiume) cioè da batteri e organismi unicellulari, primo depuratore naturale delle acque. Per quanto di dimensioni minuscole (ma è visibile ad occhio nudo) il benthos costituisce una biomassa rilevantissima nella catena alimentare (è ad esempio l’alimento principale della fauna ittica). Ma l’aspetto meno conosciuto è quello preposto alle funzioni autodepurative dell’ambiente fluviale. Organismi erbivori, detritivori, carnivori, con adattamenti alla corrente (reofili) o ai micro-habitat identici e con funzioni differenziate (filtratori, raschiatori di substrato, demolitori, sminuzzatori di particellato fine e grossolano, etc…) svolgono, in un equilibrio imperfettibile, il rispettivo ruolo ecologico trasferendo energia pulita in ogni fase del ciclo trofico.

Questi preziosi organismi, in genere larve di insetti a metamorfosi acquatica sono da qualche decennio all’attenzione della scienza per un altro significato incontro-vertibile, quello di sensori delle acque. Ogni specie reagisce infatti in modo significativo e “personalizzato” alla complessità delle acque. Ogni specie reagisce infatti in modo significativo e “personalizzato” alla complessità dei fattori di degrado. La presenza od assenza di gruppi o comunità è indice, secondo una metodologia consolidata e ormai di larga diffusione, di qualità o degrado dell’ambiente lotico colonizzato.


La fauna vertebrata

Il territorio nel quale si colloca la celebre sorgente del Fiume Lambro è rappresentato da un ampio terrazzo lievemente rilevato ad est, ubicato al margine nord-occidentale dell’abitato di Magreglio, nel Triangolo Lariano. Le quote variano dai 900 m, sul ciglio della scarpata morfologica, ai 997 m del Monte Corbera. Sotto il profilo paesaggistico, l’area presenta una sostanziale uniformità; una più attenta analisi consente peraltro di riconoscervi almeno due distinte facies: un settore occidentale (Piano Rancio) maggiormente antropizzato e prioritariamente vocato ad una fruizione turistica ed un settore orientale (Menaresta – Monte Corbera) con caratteristiche di più elevata naturalità. La gran parte dell’area è caratterizzata dalla presenza di una copertura arborea continua e diversificata, ove larici, abeti e pini silvestri si consorziano frequentemente a faggi ed aceri, mentre lo strato arbustivo risulta dominato dal nocciolo. Le sole aree a prato-pascolo si concentrano nella zona del Prà Bruschè, posta alle falde del Monte Forcella ed a valle della quale si sviluppa l’impluvio principale del Lambro.
Il quadro ambientale sin qui sinteticamente tratteggiato si completa con l’elenco, anche se parziale, in cui sono stati fatti i rilevamenti della fauna vertebrata omeoterma (Mammiferi e Uccelli).

Qui di seguito è riassunto l’elenco delle specie di presenza accertata, nonché alcune note integrative concernenti la presenza delle medesime. Nel suo complesso l’area ospita non meno di 15 specie.

Mammiferi

Talpa europea, Toporagno comune, Toporagno nano, Lepre comune, Scoiattolo, Ghiro, Moscardino, Arvicola rossastra, Arvicola di Fatio, Topo selvatico, Faina, Volpe, Cinghiale, Capriolo, Riccio,Toporagno alpino, Crocidura ventre bianco, Rinolofo maggiore, Pipistrello nano, Pipistrello di Nathusius, Vespertilio mustacchio, Orecchione, Quercino, Topolino delle case, Tasso.

Avifauna

Avifauna nidificante Ciuffolotto, Picchio muratore, Codibugnolo, Picchio rosso maggiore, Codirosso, Pigliamosche, Colombaccio, Poiana, Cornacchia grigia, Regolo, Allocco, Corvo imperiale, Rampichino, Ballerina bianca, Cuculo, Capinera, Scricciolo, Fringuello, Sparviere, Cardellino, Ghiandaia, Storno, Cincia bigia, Luì piccolo, Tordo bottaccio, Merlo, Zigolo muciatto, Cincia dal ciuffo, Passera d’Italia, Cincia mora, Passera scopaio-la, Cinciallegra, Pettirosso.

Considerazioni generali

Come sinora evidenziato, il Piano Rancio e la Menaresta ospitano zoocenosi mediamente ampie e diversificate, nel cui contesto emerge la presenza di alcune specie poco comuni e/o ecologicamente esigenti, come il Toporagno nano e il Rampichino. Anche in considerazione dell’estensione complessivamente limitata di tali aree e dell’intensa fruizione turistica alla quale sono sottoposte in alcuni periodi dell’anno, si ravvede senz’altro l’opportunità di attuare idonee strategie di gestione dei complessi forestali ed analoghe azioni di tutela dei popolamenti animali.


La vegetazione

La vegetazione presso la sorgente è scarsa e piuttosto povera di specie. La spiegazione di questo fenomeno è dovuta al fatto che la “Menaresta” si trova all’interno di un bosco di conifere, prevalentemente formato da abeti rossi (Picea abies); questi alberi, di considerevoli dimensioni, riducono notevolmente la quantità di luce che può penetrare fino al suolo e contribuiscono, con la costante caduta degli aghi, ad impoverire le caratteristiche del terreno.

Nelle immediate vicinanze della sorgente riesce quindi a vivere solo una flora molto spartana, composta di specie relativamente comuni.

Oltre ai muschi, alle epatiche ed alle minuscole alghe che vivono abbarbicate alle rocce della sorgente stessa, le specie che si possono incontrare sono le seguenti:

1) Abete rosso o Peccio (Picea abies)

2) Nocciolo (Corylus avellana)

3) Rosa di Natale (Helleborus niger)

4) Erba triloba (Hepatica nobilis)

5) Clematis vitalba

6) Ranunculus acer

7) Cardamene impatiens

8) Lampone (Rubus idaeus)

9) Geum urbarcum

10) Fragola (Fragaria vesta)

11) Acetosella (Oxalis acetosella)

12) Geranium robertiahum

13) Acero di monte (Acer pseudoplatanus)

14) Epilobium collinum

15) Edera (Hedera helix)

16) Astrantia major

17) Primula vulgaris

18) Lamiastrum galcobdolon

19) Plantago major

20) Sambuco (Sambucus pigra)

21) Senecio fuchsii

22) Cirsium erisithales

23) Mycelis murales

Le condizioni della vegetazione appaiono buone, nonostante la zona sia fortemente antropizzata.

Sarebbe forse auspicabile sostituire una parte delle conifere, soprattutto quelle più prossime alla sorgente, con altri alberi di alto fusto, ma indigeni, in modo da ricostruire intorno alla Menaresta un ambiente più vicino a quello originario. Dei faggi potrebbero rappresentare la specie ideale.


Il buco delle pecore (Bus di pegur)

La grotta, il cui ingresso è situato alla base di uno dei dossi sovrastanti Magreglio che limitano il Piano Rancio, deve la sua notorietà alla vicina sorgente del Lambro (Menaresta) ed è in questo contesto che la vediamo citata per la prima volta, seppure in modo anonimo, dall’Amoretti nel suo “Viaggio da Milano ai Tre Laghi” (1794).

Nel 1876 G. Frassi in: “Notizie sulla sorgente del Lambro” fa cenno all’esistenza di due piccole grotte situate presso la sorgente stessa.

I primi anni Cinquanta del secolo che sta per finire, segnano l’inizio all’esistenza di due piccole grotte situate presso la sorgente stessa.

Lo stesso periodo segna l’inizio delle prospezioni speleologiche nonché la stesura del rilievo topografico (A. Pozzi e G. Cappa).

Successivamente all’VIII Congresso Nazionale di Speleologia, tenutosi a Como nel 1956, appaiono, a cura di R. Pozzi e S. Dell’Oca, dati speleometrici e catastali. È del 1979, infine, lo studio morfologico della grotta (A. Bini).

Come già detto, la base di una parete rocciosa ospita il non ampio ingresso che conduce a diversi ambienti in cui si possono osservare concrezioni parietali e colonnari, stalattiti, latte di monte e piccole eccentriche. Il pavimento è formato in gran parte da materiale morenico cioè trasportato dai ghiacciai che occupavano il territorio.

La roccia incassante è costituita da Dolomia Principale (Norico).

Attualmente lo sviluppo della grotta assomma a 72 metri con un dislivello di 8. Nei pressi sono da segnalare altri fenomeni quali la Tana del Tasso ed il Buco della Menaresta, confuso a lungo dagli autori con la sorgente del Lambro.

Per la paleontologia le ricerche di G. Senna (1953) hanno restituito una falange di Bos sp. e resti fossili di Marmota marmota L.

Nell’ambito biospeleologico il Buco delle Pecore è una delle stazioni più occidentali dell’ortottero cavernicolo Trogophilus cavicola (Kollar).

Segnalata anche la presenza di coleotteri carabidi (Laemostenus).


Incisioni Rupestri

A pochi metri dalla sorgente della Menaresta vi è un grosso trovante di roccia granitoide, ma di aspetto verdastro per la presenza di muschi e licheni. Ha forma allungata e, superiormente, si presenta come un tetto con due falde di media pendenza che si incontrano lungo la linea di colmo.

Su questa pietra, e solo su questa, compaiono alcune incisioni che sono certamente state eseguite dall’uomo. Si tratta di poche coppelle sparse irregolarmente; fra esse una è posta sulla linea di colmo ed una sullo spigolo orientale. Inoltre sulla falda occidentale compare una incisione rettilinea, lunga 27 cm, che segue quasi la massima pendenza. Poco a monte vi è poi una incisione ovoidale che comprende una piccola coppella bene marcata che si completa in un canaletto che sbocca verso valle.

La presenza di coppelle ed altri segni semplici, detti nel loro complesso “incisioni rupestri non figurative”, sono frequenti un po’ in tutto il mondo e particolarmente sulle Alpi. Nella nostra zona sono concentrate in alcune località (come sulla “Spina Verde” di Como, al Pian delle Noci in Valle Intelvi e sul dosso Rezzonico-Cremia nell’alto Lario); spesso sono presenti su alcune superfici rocciose affioranti o su massi erratici a formare delle composizioni irregolari.

In molti casi la concentrazione delle incisioni e la posizione della pietra incisa fanno pensare a dei veri e propri massi-altare; è infatti molto probabile che questi segni abbiano assolto a funzioni specifiche legate a credenze religiose ed alla celebrazione di antichi riti. Da noi coppelle e canaletti sembrano essere stati eseguiti in periodi molto antichi, probabilmente nel corso dell’Età del Bronzo e, in certi casi, anche prima, ossia nell’Età del Rame o Periodo Calcolitico. Si può quindi ipotizzare che le più antiche risalgano al II o addirittura al III millennio a.C., anche se molte di esse sono certamente state eseguite nell’Età del ferro (I millennio) con il perdurare di certi riti (“culto delle pietre”) fino all’avvento del cristianesimo.

Nel Triangolo Lariano sono presenti alcune decine di massi erratici incisi, senza concentrazioni locali (diversi sono di recente scoperta, ad opera di Irene Gandola di Bellagio, mentre a Franco Redaelli di Canzo dobbiamola segnalazione delle incisioni della Menaresta).

La presenza di incisioni preistoriche o protostoriche intorno alla nostra fonte intermittente è di notevole interesse; infatti in molte parti del mondo i massi a coppelle compaiono in vicinanza di corsi d’acqua o di sorgenti. Le coppelle di Piano Rancio, pur avendo piccole dimensioni, potrebbero essere state utilizzate per versarvi acqua di fonte; la coppella sommitale del masso potrebbe invece avere ospitato un lumino (ottenuto con grasso animale e uno stoppino vegetale, come spesso usato nell’antichità).

L’idea che questi segni possano essere stati eseguiti in un periodo lontano è confermata dalla presenza nel Triangolo Lariano delle altre emergenze, cui si è accennato; esse nel loro complesso rientrano in un più ampio quadro di presenze ed attività umane che mostra caratteri simili sui due versanti delle Alpi

giovedì 24 ottobre 2024

patto di non belligeranza


IL RACCONTO

La vera storia della pace tra gli ultras del Milan e dell'Inter. Nel giorno del derby più inutile...

Tra gli anni 70 e l'inizio degli 80 infuriano gli scontri tra le tifoserie rossonera e nerazzurra. Ci scappa, inevitabile, il morto. Nel Mundialito estivo del 1983 l'incontro a San Siro tra i leader delle due curve con una stretta di mano che sarebbe stata onorata (casi episodici a parte) nei successivi 41 anni

Ad avvicinarli fu il derby meno importante e sentito della storia, quello del Mundialito del 1983, poco più di un’esibizione tra Milan e Inter. Prima erano botte e agguati senza pietà, assalti e feriti, “scontri in ogni angolo della città”, come riporta una fanzine della Curva Sud ritrovata a terra, sgualcita ma non ancora calpestata, il giorno dopo l’ultima giornata di campionato. Il racconto dell’organo di comunicazione della parte più calda della tifoseria del Diavolo è interessante e trova sponda nei ricordi di chi, oltre quarant’anni fa, stava dall’altra parte di San Siro, nella Curva Nord. 

LA STORIA CAMBIA

—  

Questa è la storia della serata in cui fu sancita la pax ultrà rossonerazzurra che dura ormai da più di 41 anni. Tra alti e bassi eh, gli episodi di violenza ci sono stati anche in questi decenni (basti pensare al pugno che in un derby del 2009 spappolò un occhio a un tifoso interista, Virgilio Motta, morto suicida tre anni dopo, forse perché non si riprese mai da quella tragica serata), ma sono stati molti di più i pugni e i calci che si sono dati in campo i calciatori di quelli che hanno smesso di darsi i tifosi, soprattutto gli ultras. Mai più violenza tra interisti e milanisti, e a deciderlo furono i capi dell’epoca proprio in una delle pochissime stagioni in cui le due squadre non si affrontarono in campionato (i rossoneri erano finiti in B l’anno prima). Il Mundialito o Coppa super clubs (un’invenzione di Silvio Berlusconi, diretta delle gare su Canale 5), edizione 1983, è già in archivio, l’ha vinto la Juve. Milan e Inter si sfidano la sera del 2 luglio nell’ultima inutile partita del torneo ma sono penultima e ultima in classifica: la stracittadina non serve a nulla se non a far sfogare per l’ennesima volta le due tifoserie, fieramente e violentemente l’una contro l’altra. 

DERBY, VIOLENZA SENZA FINE

—  

Due anni prima, proprio al derby estivo del Mundialito, la rissa tra le due tifoserie era stata pesantissima (a più riprese, in diversi momenti e settori dello stadio, come testimoniano i numerosi reperti fotografici reperibili sul sito Magliarossonera.it). Pesantissima e mortale. L’ultras interista Vittore Palmieri, 21 anni appena, colpito al pancreas, era finito in coma ed era morto tre mesi dopo. I giornali dell’epoca riportarono la reazione del papà del ragazzo che, in lacrime, andò alla sede dell’Inter a restituire l’abbonamento stagionale: no, andare allo stadio non era proprio più possibile. E prima ancora erano stati i durissimi anni 70 i testimoni di scontri continui tra le due fazioni, sempre senza esclusione di colpi, sempre lasciando a terra feriti dall’una e dall’altra parte. E nel mezzo ci finivano pure gli impauriti concittadini, che già tremavano a girare per le strade di Milano tra terrorismo rosso, nero e proteste studentesche. 

L'INCONTRO IN CURVA SUD

—  

E forse fu proprio il mortale epilogo dell’ultima di quelle folli violenze calcistiche tutte milanesi a far nascere l’idea di una pace che avrebbe fatto bene a tutti, soprattutto al resto della città che non riusciva più a godersi un derby senza il timore di finire in mezzo al delirio ultrà. E così mentre la parte calda della tifoseria rossonera è già pronta all’ennesimo scontro, e gli interisti si preparano a rispondere, proprio mentre i ragazzi si armano per lo scontro, quel 2 luglio tre capi ultrà dell’Inter, tra questi c’è Franco “Franchino” Caravita, decidono di chiedere udienza alla controparte. Che accetta. Cosa si dissero i leader dell’epoca, lato rossonero è presente il “barone” Giancarlo Capelli (l’uomo in arancione in mezzo alla marea nera della Sud dei giorni nostri, l’unico cui è concesso di vestire in modo diverso) non è dato sapere, ma la stretta di mano - in Curva Sud, settore in cui avvenne l’incontro - ci fu, ratificata da un successivo incontro più ufficiale tra i rappresentanti principali delle due curve. 

GARLANDO_ULTRAS_LATRIPLETTA_03102024

MILAN-INTER DOPO LA PACE

—  

E da allora tornò il sereno: e forse è sempre in conseguenza di quella pace, di quel patto di non belligeranza che (episodi isolati a parte) non ci sono più stati scontri tra ultras rossoneri e nerazzurri, forse è grazie a quella stretta di mano che prima l’Inter, poi il Milan, poi di nuovo l’Inter hanno potuto festeggiare negli ultimi anni lo scudetto per le vie cittadine insieme ai propri tifosi senza alcun problema d’ordine pubblico, senza altri morti. Tutto grazie a quella stretta di mano a San Siro in una calda serata di luglio del 1983. Prima di un derby che proprio grazie a quella stretta di mano non fu poi tanto inutile. 

Fiori sul luogo dove morì Vincenzo Spagnolo. Ansa

LE DUE CURVE, IL RESTO DELLA STORIA

—  

Due post scriptum: il primo è che in questo articolo si è scritto della pace tra ultras di Inter e Milan, sancita nel 1983 e mantenuta fino ai giorni nostri, ma questo non vuol dire che le due frange abbiano fermato nei decenni successivi la violenza contro altre tifoserie in Italia e all’estero (due esempi su tutti, l’ascolano Nazzareno Filippini che morì dopo una rissa con ultras nerazzurri nel 1988 e il genoano Vincenzo Spagnolo accoltellato a morte nel gennaio 1995 dai milanisti, anche se l’omicida aveva simpatie… juventine). All’interno delle due curve negli ultimi anni è poi successo di tutto, nella Nord gli assassinii prima del capo ultrà Vittorio Boiocchi reduce da 26 anni di prigione e che si era ripreso la curva e poi del rampollo di una ‘ndrina calabrese, Antonio Bellocco, ammazzato lo scorso settembre da un altro capo ultrà, Andrea Beretta. Nella Sud l’arresto (anzi, gli arresti) del “joker” Luca Lucci, il re incontrastato della curva, per narcotraffico. E infine l’inchiesta “Doppia curva” che subito dopo l’omicidio Bellocco ha decapitato i direttivi della Nord e della Sud, seppur con capi di imputazione diversi. Insomma, la violenza nelle due curve non è certo finita con quella stretta di mano, ma di certo almeno all’interno della città è scomparsa. Il secondo post scriptum è che, per la cronaca, al Meazza quella sera di 41 anni fa vinse il Milan 2-1 con doppietta di Serena e rete di Altobelli.

mercoledì 23 ottobre 2024

doppia curva


Curva Nord e ’ndrangheta, VIAGGIO NELL'OMICIDIO BOIOCCHI: come mai dopo due anni non c’è nessun colpevole? Ecco perché. Ma chi l’ha ucciso? La verità è vicina. Vi raccontiamo l’ambiente in cui è nato. E i nomi dei coinvolti...

22 ottobre 2024

Curva Nord e ’ndrangheta, VIAGGIO NELL'OMICIDIO BOIOCCHI: come mai dopo due anni non c’è nessun colpevole? Ecco perché. Ma chi l’ha ucciso? La verità è vicina. Vi raccontiamo l’ambiente in cui è nato. E i nomi dei coinvolti...
Il 29 ottobre saranno due anni dalla morte di Vittorio Boiocchi, allora capo della curva interista. Un omicidio che non ha ancora un colpevole. Un omicidio che oggi assume un'importanza notevole per capire l'origine di quello che poi è emerso nelle indagini della Procura di Milano: le connessioni tra l'ndrangheta e i vertici ultras di Milan e Inter. Siamo tornati sul luogo dell'omicidio. Per la quarta puntata della nostra inchiesta abbiamo riletto le carte e parlato con fonti anonime. Ecco il nostro reportage: il difetto delle indagini, le coincidenze, i nomi delle persone coinvolte, indizi mai emersi. Perché per capire chi è stato a sparare non bisogna andare molto lontano. E cercare tra vecchie conoscenze, antiche rivalità, nuovi affari. E percorrere sempre la stessa strada: quella che dalla Calabria porta a Milano

Io so ma non ho le prove. Io so perché tutti, nell'ambiente, hanno un'idea di come sia andata. Tutti, nell'ambiente, hanno gli stessi nomi in testa. Ma pochi, pochissimi, parlano. E quei pochi che parlano parlano poco. Il 29 ottobre saranno due anni dalla morte di Vittorio Boiocchi, allora capo della curva interista. Un omicidio che non ha un colpevole. Un omicidio che oggi assume un'importanza notevole per capire l'origine di quello che poi è emerso nelle indagini della Procura di Milano: le connessioni tra la ‘ndrangheta e i vertici ultras di Milan e Inter. Certo, sarebbe stato tutto più facile se nell'inchiesta non ci fosse stato un buco di un anno mezzo, ma questo lo spiegherò tra poco. E poi, appunto, chi deve sapere sa. Ed è per questo che nell'articolo che sto scrivendo non faccio i nomi né dei mandanti né di chi ha sparato ma racconto il contesto in cui questo omicidio è maturato e chi erano le persone coinvolte. Poi ognuno trarrà le sue conclusioni. Anche perché i tempi sono maturi, così dicono fonti investigative. Prima, però, partiamo da quel giorno del 2022.

La chiesa di San Materno in via fratelli Zanzottera
La chiesa di San Materno in via fratelli Zanzottera
La periferia ovest di Milano, dove Vittorio Boiocchi viveva con la moglie
La periferia ovest di Milano, dove Vittorio Boiocchi viveva con la moglie

29 OTTOBRE DI DUE ANNI FA:

Torno sul luogo del delitto un venerdì pomeriggio. Boiocchi abitava con la moglie Giovanna a Figino, periferia ovest di Milano. Un luogo scenografico per un agguato. Quasi perfetto. La via è fratelli Zanzottera: i portici, qualche negozio, due bar, la chiesa di San Materno, fin troppo maestosa per il piccolo slargo su cui affaccia. Poi la fermata dell'autobus e intorno palazzi popolari. Quello di Boiocchi è al numero 12. Il 29 ottobre 2022 c'è Inter-Sampdoria a San Siro. Vittorio non può entrare allo stadio e un altro diffidato, Francesco De Nigris detto Chiccone, lo porta a casa in scooter. Lo lascia davanti al cancello, si salutano, poi Chicco riparte, gira a sinistra e con una manata di gas è già lontano. Sono da poco passate le 19:30. Chicco non vede né sente arrivare una Kawasaki Ninja nera. La vede e sente Jayari Jalloul, un tunisino vicino alla fermata dell'80. Jayari riferisce che la moto si ferma all'altezza dei portici. Il passeggero scende, fa un passo, torna indietro verso la moto, forse per controllare che l'arma sia ok, poi si gira e va diretto verso Vittorio Boiocchi, 69 anni, che stava per aprire il cancello del palazzo. Vittorio vede il suo assassino. Ha un'andatura particolare. Dettaglio fondamentale. Vittorio pare riconoscerlo. Gli va incontro, grida: “Non farlo, non sparare”. Partono cinque colpi, due lo uccidono. I killer hanno sempre indossato il casco, erano vestiti di scuro, i giubbotti avevano delle strisce blu sulle braccia. A chiamare i soccorsi è Mohamed Marnissi, che abita al primo piano di via Zanzottera 9. Agli investigatori dirà: “Ho sentito tre spari, mi sono affacciato, ho visto un uomo sull'asfalto”. La moglie di Vittorio, Giovanna Pisu, è su al secondo piano con una delle sue piccole nipoti. Prega la bambina di stare ferma in casa e scende a vedere. Sa già cosa è successo. È un miracolo che gli uomini come Vittorio arrivino alla vecchiaia sani e salvi. E si sa, i miracoli accadono poche volte. Gli agenti della Polizia scientifica arrivano alle 20. Trovano: gli infermieri e i medici del 118 che cercano di rianimare Boiocchi; cinque bossoli calibro 9x19 mm Luger di produzione della Repubblica Ceca marca TPZ; tre ogive FMJ calibro 9. Le due che mancano sono nel corpo di Vittorio, che morirà all'ospedale San Carlo.

I girasoli di via fratelli Zanzottera
I girasoli e le sciarpe dell'Inter in memoria dello "Zio"
"Vittorio sempre con noi"
"Vittorio sempre con noi"
https://mowmag-store.myspreadshop.it/

OTTOBRE 2024

Ora sulla transenna di via fratelli Zanzottera ci sono dei girasoli, un adesivo, due sciarpe sbiadite dell'Inter, una è dei Boys San, gruppo storico della tifoseria fondato nel 1969 proprio da Boiocchi. C'è una targa con scritto “sarai sempre nel cuore di chi ti ama” e ci sono delle foto: Vittorio è calvo, pizzetto o barba incolta. In una di queste c'è una frase di Marracash, tratta dalla canzone Love: qualcuno in cielo, qualcuno in meno. Sorrido, perché uno dei sospettati dell'omicidio è sempre stato Nazzareno Calajò, boss del quartiere Barona, criminale di caratura enorme ora in carcere per traffico internazionale di stupefacenti, a cui proprio Marra ha dedicato strofe, canzoni, saluti ai suoi concerti. Criminali di strada, droga, ultras, agganci con la malavita del sud, rapper: la Milano di oggi, la Milano di allora. Sotto al citofono ci sono ancora due fori provocati dai proiettili, quelli che miravano alle gambe. Entro nel cortile del palazzo, la signora Giovanna è cortese, ma non vuole rilasciare dichiarazioni ufficiali. Mi ripete le cose che sono trapelate in questi giorni: sono due anni che so chi è stato, le darò un'esclusiva quando lo scriveranno i giornali. Mentre parlo con lei dal citofono della scala B uno scoiattolo attraversa il piazzale dei box. Sono qui per questo, le dico. E lei risponde: “Allora mi aiuti, lo faccia”. Quando torno in strada mi avvicino al murales dedicato a Boiocchi: lo stencil del suo volto sul muro incrostato. Accanto, le targhe degli abitanti di Figino morti per il piombo nazifascista. È una via di lapidi, questa. I proprietari del bar proprio sotto le finestre di casa Boiocchi, ironia della sorte, sono milanisti. Il barista mi serve un'acqua tonica e racconta: “Quella sera avevamo chiuso da poco. Boiocchi era cordialissimo. Sai quanti sbarbati venivano qui a trovarlo? Tanti. Era gentile con tutti”.

I fori di due proiettili
I fori dei due proiettili sotto al citofono
Le targhe degli abitanti di Figino morti per il piombo nazifascista
Le targhe degli abitanti di Figino morti per il piombo nazifascista

LA BIOGRAFIA CRIMINALE DELLO ZIO

Eppure il suo profilo criminale descrive una storia diversa: Vittorio Boiocchi da ragazzo era molto legato a Guglielmo Fidanzati, morto nel 2014 e figlio di don Tanino, boss di Cosa nostra. Tra il 1996 e il 1997 viene coinvolto in un’associazione a delinquere finalizzata all’importazione di ingenti quantitativi di droga, cocaina dalla Colombia, eroina dalla Turchia. Con lui altri due Fidanzati, Giuseppe e Stefano. Era già dentro, Vittorio: resterà in carcere altri 20 anni. In tutto si fa 26 anni e tre mesi a causa di dieci condanne per vari reati, tra cui sequestro di persona e detenzione illegale di armi. Quando esce nel 2018 torna in curva e si riprende tutto quello che era suo. “Gliel'hanno data per rispetto”, si sente in un'intercettazione. Prende un Daspo quasi subito, dopo gli scontri con i napoletani dove muore Dede, Daniele Belardinelli. Il tifo non gli basta e continua a tenere legami con la mala: durante un controllo di polizia al bar Calipso di via Correggio, luglio 2020, è con Antonio Canito e Vincenzo Facchineri. Il primo un pezzo di tutto rispetto, il secondo un pezzo grosso: Facchineri è fratello di Luigi, boss della ‘ndrina Facchineri, entrambi figli di Michele, detto “Il Papa”. Vincenzo è un pluripregiudicato con precedenti penali per estorsione, usura, omicidio volontario, strage, ricettazione, fabbricazione e commercio di armi. Non passa nemmeno un anno che Boiocchi, poi, viene trovato in possesso di una pettorina della guardia di finanza, un teaser, una pistola non immatricolata con munizioni, un coltello e delle manette. Secondo gli agenti della Squadra mobile che lo arrestano l’attrezzatura serviva per un’estorsione. Insomma, Boiocchi si era scelto la vita del criminale e il criminale continuava a fare. Con le figlie era un padre attento, dolce, ancora oggi Valentina, Liliana e Roberta su Instagram lo ricordano e lo rimpiangono. Chi lo conosceva fuori casa invece la prima cosa che ti dice è: “Boiocchi litigava con tutti”. Della serie: l'assassino poteva arrivare da diversi ambienti. All'inizio circolò, immancabile, anche la voce del delitto passionale. Una puttanata.

Don Tanino, boss di Cosa nostra a cui Boiocchi era legato
Don Tanino, boss di Cosa nostra a cui Boiocchi era legato

UN DIFETTO E LE COINCIDENZE

Per trovare i mandanti e gli assassini di Boiocchi non bisogna fare voli pindarici. Anzi, è bene rimanere a terra. Ancora meglio, in strada. E qui bisogna segnalare un difetto di partenza e una serie di coincidenze. Il difetto è risaputo: l'omicidio si sarebbe potuto evitare. Colpa di un vuoto nelle indagini. Fino all'arrivo del Covid nel baretto di San Siro, ritrovo degli ultras della Nord, il pm Leonardo Lesti e il GIP Guido Salvini avevano piazzato una cimice, grazie alla quale erano stati capaci di mappare le gerarchie e le dinamiche tra i vari gruppi della curva. Dopo la pandemia e per un anno e mezzo l’indagine però si ferma. C’è una corposa annotazione della Digos che il 20 ottobre 2020 segnala al pm la necessità di emettere misure cautelari nei confronti di Boiocchi, Beretta, 25 esponenti della curva Nord per associazione per delinquere relativa alla gestione illecita dello Stadio, reato che è già emerso chiaramente, ma il pm Lesti non presenta nessuna richiesta al giudice per le indagini preliminari e la cimice non viene più attivata né svolta alcun attività di indagine. Il contesto in cui è maturato il delitto Boiocchi, insomma, è un buco nero. Le intercettazioni sono riprese solo dopo quel 29 ottobre 2022. E qui arrivano le coincidenze: proprio in quei giorni fa la sua comparsa il “nano malefico”, così viene chiamato: Antonio “Totò” Bellocco da Rosarno, che comincia a fare viaggi dalla Calabria a Milano con i suoi sodali, Giuseppe IdàVincenzo Monaco e Salvatore Nucera detto “Sarvu”. Proprio in quei giorni Andrea Beretta, il numero due della curva, ha dei comportamenti strani. Dalla sera dell'omicidio Boiocchi è irreperibile, infila il suo cellulare nel microonde per paura di essere intercettato o perquisito, fa un viaggio a Pietrelcina con la sua compagna di allora Ilaria Senatore. Il motivo? Beretta è devoto di Padre Pio da tempo, ce l'ha pure tatuato. Va a chiedere scusa? Va a redimersi per aver tradito il suo ex capo? Era un viaggio già programmato? Le coincidenze non finiscono qui.

Il GIP Guido Salvini
Il GIP Guido Salvini

BERETTA E BELLOCCO SI PRENDONO TUTTO

Sempre nelle settimane successive Andrea Beretta e Bellocco cominciano a stringere accordi. Ufficialmente, dirà Beretta al pm Paolo Storari, perché volevo proteggere la curva da altre infiltrazioni. Il loro primo incontro documentato dalla Digos è datato 16 novembre 2022. Beretta, diffidato, indica Marco Ferdico come suo uomo nella Nord. Ferdico e suo padre diventeranno fedelissimi di Bellocco. Ferdico e Beretta troveranno un finto lavoro, un finto stipendio e un appartamento a Bellocco, che si trasferirà nel milanese a gennaio 2023. Beretta e Bellocco dettano legge. Nelle intercettazioni hanno toni da boss (“Bastiamo noi due per prenderci tutto” è la sostanza dei loro discorsi): decidono come spartirsi gli affari, i guadagni dei parcheggi, del merchandising, dei biglietti. Dalle indagini emergono una serie di aspetti: Beretta e Boiocchi avevano avuto dei dissidi perché Boiocchi aveva preso tutta la gestione dei biglietti lasciando a Beretta solo il merchandising; Pino Caminiti, che girava 4mila euro al mese derivati dai parcheggi a Boiocchi e Beretta, abbandona il primo e parteggia per il secondo. Attenzione: Caminiti è un altro personaggio che merita una parentesi. Ha 54 anni, è legato a un altro capo della ‘ndrangheta, Giuseppe Calabrò detto “U Dutturicchiu”, ed è colui che per conto dell'imprenditore Gherardo Zaccagni gestiva i parcheggi di San Siro. Per lui Zaccagni spende il paragone con il mafioso stalliere di Silvio Berlusconi, Vittorio Mangano. Pino Caminiti per l'Antimafia è un assassino, perché da un'intercettazione del 2020 salta fuori la soluzione di un altro omicidio rimasto irrisolto, quello di Fausto Borgioli alias Fabrizio, narcotrafficante ucciso nel 1992 con tre colpi di pistola nel quartiere Bande Nere. Borgioli morirà mezz'ora dopo all'ospedale San Carlo. Già, come Boiocchi. Caminiti e Boiocchi si odiano. Caminiti, anni prima, ci aveva litigato per una questione di soldi legata ai parcheggi. Infine, emerge che nei mesi successivi alla morte di Boiocchi, Beretta e Ferdico, forti di essere coperti dal nome e dalla statura criminale di Bellocco, decidono di ritirare gli striscioni e riunirsi sotto un unico brand, Curva Nord, per centralizzare guadagni e ricavi. Gli ultimi ad accettare questa imposizione sono una fazione storica: gli Irriducibili.

Fausto Borgioli alias Fabrizio, ucciso il 19 ottobre del 1992, Per la procura l'assassino è Giuseppe Caminiti
Fausto Borgioli alias Fabrizio, ucciso il 19 ottobre del 1992, Per la procura l'assassino è Giuseppe Caminiti

GLI IRRIDUCIBILI E L'ESTREMA DESTRA

Il loro capo è Giacomo Pedrazzoli. Le altre teste sono Steve Del Miglio e Davide Cancelli. Nelle informative della Digos si documentano incontri tra loro, Beretta e Bellocco a casa di Domenico Bosa, detto “Mimmo Hammer”. Alla fine pure gli Irriducibili mollano e tra di loro si lamentano degli “spocchiosi calabrotti”. Ma anche loro, tramite Bosa, cercano agganci con altre famiglie. Che però preferiscono tenersi fuori. Gli Irriducibili sono di destra, frequentano la curva, i circoli di Lealtà e Azione e Casa Pound. Non amano soprattutto due categorie di persone: le guardie e i giornalisti. Anche solo recuperare un loro numero di telefono è un problema. Decido quindi di andarne a trovare uno sul luogo di lavoro. Mi presento. L'irriducibile mi chiede di aprire il bomber, poi di alzare la felpa. Vuole sincerarsi che non abbia né un registratore né una microcamera. Usciamo dal negozio e mi dice: “Dammi il cellulare”. Sorrido e ubbidisco. Conosco le regole del gioco. Tuttavia non dice niente: “Ci sono famiglie di mezzo, per rispetto loro non parlo”. Proprio per loro dovremmo chiarire questa vicenda, ribatto. Per le figlie. Per le nipoti. Niente da fare. Un altro che non parla è Francesco De Nigris, l'ultimo che ha visto Boiocchi vivo. Anche lui è fuori dalla curva, durante i festeggiamenti dello scudetto, lo scorso maggio, ha tirato un fumogeno su un balcone del centro. I capi si sono incazzati e lo hanno buttato fuori dalla festa. Da lì non è più tornato in gruppo.

Giuseppe "Pino" Caminiti, il re dei parcheggi di San Siro
Giuseppe "Pino" Caminiti, il re dei parcheggi di San Siro

LA FONTE DI BRERA

Poi però le mie insistenze sono premiate. E qualcuno accetta di incontrarmi. Proviene sempre dalla destra milanese, mi dà appuntamento in un bar di Brera. Cammina nervoso puntando chi intorno a noi parla al cellulare, anche lui ha paura di essere ripreso. Mi conferma: l'estrema destra è una chiave nell'omicidio Boiocchi. “Guarda i legami tra vecchi militanti che magari sono pure boss milanesi e ‘ndrine calabresi. Poi ragionaci”. Torna in mente Nazzareno Calajò. Chi lo conosce dice che la sua arroganza incute timore. Alle udienze di quegli anni, spesso, si presentava in sedia a rotelle. Adesso ha chiesto il suicidio assistito perché, a detta sua, ha perso l'uso di una gamba. Anni fa si era espresso così: “Se avessi l'opportunità di far fuori Boiocchi e riuscire a non risultare lo farei”. Calajò ha un soprannome: “Nazza Nazi”. Destra, criminalità, siamo sempre lì. Nazzareno, va detto, in quei mesi, era agli arresti domiciliari. Nell'ultimo processo è stato condannato a 17 anni e ora è in carcere. La fonte continua, e mi dà una dritta: “Risulta che altre famiglie volessero entrare nel business curva, soprattutto una, della Brianza”. Solo che la geografia delle famiglie calabresi in Lombardia è un labirinto: ci sono i Barbaro Papalia, già in contatto con la curva Sud del Milan. Ci sono i Pompeo e i Flachi che rispondono ai De Stefano. Ci sono i Mancuso e i Morabito. “E l'uomo che parla un po' con tutti è Mimmo Bosa”. Bosa è ai domiciliari ora ed era ai domiciliari due anni fa. Questo però non gli impediva di ricevere i capi della curva a casa sua, di intessere accordi tra famiglie calabresi sfruttando le sue abilità diplomatiche e il suo carisma. Con Bellocco però non c'è stato niente da fare. Totò con Beretta si vantò di avergli fatto vedere “l’album di famiglia” per metterlo subito a posto. Il ruolo di Bosa, in seguito, è tornato decisivo subito dopo l'omicidio dello stesso Bellocco.

Nazzareno Calajò, detto "Nazza Nazzi"
Nazzareno Calajò, detto "Nazza Nazzi"

L'ULTIMA INCHIESTA

Il resto infatti è storia. Beretta ammazza Bellocco il 4 settembre 2024. Quattro giorni prima Beretta aveva saputo che Bellocco era ormai pronto a ucciderlo. A Bellocco non tornavano i conti sul merchandising e voleva aprire un negozio a Milano a cui Beretta si era opposto perché avrebbe fatto concorrenza al suo di Pioltello. Beretta si confida con gli amici più fidati, uno di loro lo esorta a raggiungerlo nell'isola delle Baleari, Ibiza, e non fare cazzate. Beretta lo tranquillizza ma poi quando si ritrova nella Smart con Bellocco lo uccide con 21 coltellate. Le indagini accelerano. Scattano le retate. Si parla anche di contatti con giocatori. Nell'inchiesta non si parla di scommesse, non si parla di droga, ma l'impressione è che sia solo questione di tempo. Nell'ordinanza più completa, di 1.500 pagine, ci sono foto dove i protagonisti si scambiano buste e soldi.

NON CONVIENE A NESSUNO

Ora, ogni tanto, spunta una voce: “Sono arrivati dalla Calabria per uccidere Beretta in carcere, sono saliti dalla Puglia per sistemare l'infame che lo ha avvisato”. Voci, appunto. La vendetta tanto attesa non c'è ancora stata. Uno perché la ‘ndrangheta sa prendersi il suo tempo. Due perché Bosa era tornato in azione per cercare di calmare gli animi e capire come risolvere la situazione, sfruttando il fatto che Bellocco agiva senza grandi coperture alle spalle. Questo dettaglio è stato confermato da un'altra intercettazione, del 20 ottobre 2023 tra Caminiti e Giuseppe Calabrò: “In lista ci sono altre famiglie”. Tre perché a Milano ora non bisogna fare casino. Ordini dall'alto. Non conviene a nessuno: non alla politica (ci sono le elezioni e le Olimpiadi), non alla ‘ndrangheta, nemmeno agli ultras, ché questo caos ha aumentato l'attenzione anche verso le curve di altre città.

Vittorio Boiocchi, ucciso il 29 ottobre del 2022
Vittorio Boiocchi, ucciso il 29 ottobre del 2022

LA MEZZA FRASE

Nel frattempo tra poco sono passati due anni da quel 29 ottobre. Gli investigatori sono convinti: per risolvere questo omicidio seguire le tracce che si possono recuperare nel presente è fondamentale. E ieri come oggi la matrice calabrese pesa. E pesano le coincidenze. Come abbiamo visto non era difficile, per chi voleva prendersi gli affari della curva, trovare qualcuno disposto a far fuori Boiocchi. Nelle ultime carte prodotte dalla Procura è stata resa nota una mezza frase, sempre della famiglia Calajò: “È andato a rompere i coglioni dove ci sono le cose e lo hanno ammazzato. Ha preso la curva come niente quando è uscito dal carcere. Poi è andato a nuocere, diciamo così...”. Nessuna vecchia storia. Per risolvere l'omicidio non bisogna fare molta strada. “È andato a rompere i coglioni dove ci sono le cose”. “È andato a nuocere…”. L'uomo che va incontro a Boiocchi ha un segno particolare. Tanto che in Procura un agente scuote la testa e dice: "È assurdo che non riusciamo a incastrarlo". Boiocchi al suo killer grida: “Non lo fare, non lo fare”. Come a dire: possiamo ancora trovare un accordo. Vecchie conoscenze. Antichi agganci. Milano-Calabria. L'accordo di sicuro, dopo la sua morte, lo faranno altri.

https://mowmag.com/?nl=1

Se sei arrivato fin qui
seguici su

  •  

©2020 CRM S.r.l. P.Iva 11921100159 - Reg. Trib. di  n.89 in data 20/04/2021

sabato 15 luglio 2023

lukako infame e ingrato?sempre detto...

Foto
© foto di www.imagephotoagency.it
Gianluca Di Marzio, giornalista di Sky Sport, ha fatto il punto sulal vicenda Lukaku sul suo sito internet: "Novità importante sul fronte Romelu Lukaku. Dopo l'inserimento della Juventus e la posizione dell'attaccante belga, l'Inter ha deciso di interrompere la trattativa con il Chelsea. Da questo momento, i nerazzurri valuteranno nuovi nomi per l'attacco. L'Inter ha deciso di interrompere la trattativa per riportare Romelu Lukaku in Italia. Il giocatore belga è stato già avvisato, presto si procederà con la comunicazione anche al Chelsea. Lo strappo delle ultime ore non può essere risanato.

PUBBLICITÀ


Nella notte tra venerdì e sabato, infatti, l'attaccante belga ha chiamato Piero Ausilio per provare a ricucire, ma la telefonata è durata poco. L'Inter, infatti, ha deciso di interrompere le negoziazioni per riportare in nerazzurro Romelu Lukaku. Non sono stati digeriti i flirt dell'ex Manchester United con la Juventus - che sono andati avanti da tempo, anche nel periodo della finale di UEFA Champions League - e i messaggi mandati al Milan. Inoltre, i nerazzurri sono rimasti indispettiti dalla scomparsa dell'attaccante.

  Romelu Lukaku, quindi, rappresenta il passato e ora si valuteranno nuovi profili per l'attacco. La decisione è stata presa a livello dirigenziale e non sembrano poter esserci condizioni per ripensamenti o cambi di fronte. Ora la Juventus potrebbe tentare l'assalto qualora ci fosse la cessione di Dusan Vlahovic. Altrimenti, Romelu Lukaku farà ritorno al Chelsea o potrebbe ascoltare le offerte provenienti dall'Arabia Saudita", ha concluso l'esperto di mercato

lukako big Rom...nooooo!!! piccolo uomo!!¡

La vicenda di #lukaku💩💩💩 prova ancora una volta che la memoria collettiva è molto breve.
Davvero nessuno ricorda cosa è successo quando dall’Inter è passato al Chelsea?  
Però, dopo tutto, che lui fosse un po’ coglione lo sapevamo già, dovremmo essere un po’ meno coglioni noi tifosi

Lukako bis 14/07/2023


.
Mai, mai, mai, mai, mai... più all'Inter
16.07.2023 00.00 

Ci risiamo. Ancora una volta Big Rom colpisce (e ferisce). Un altro golazo messo a segno da Romelu Lukaku l'altro ieri sera. Una bombaza che ha squarciato la rete scardinandone persino i pali, di quei gol che nell'immaginario collettivo puoi ammirare solo se a calciare quel pallone è Holly Hutton dopo un'infinita serie di puntate al termine della quale una buona fetta d'estate è già alle spalle. Tutto molto eccitante, se non fosse che quel gol, due giorni fa, Romelu Lukaku lo ha segnato ma nella porta sbagliata. Autogol del re di Milano, ancora uno. E questa volta a saltare non è un Trofeo ma un'intera fede. Sì perché di questo si tratta: fiducia e fede. Le stesse che con fatica i trifosi interisti erano tornati a riporre nel centravanti classe '93 di Anversa che due anni fa li aveva sadicamente colpiti alle spalle come il peggior Bruto della storia. 'King of Milan is back' scriveva nel post Instagram, passato come tra i più ipocriti della storia della Beneamata, pubblicato al rientro in Italia post Europeo... Un ritorno che aveva gasato i tifosi del Biscione impazienti di vederlo al servizio del nuovo allenatore, ma che riservava la più amara delle sorprese: il gigante buono, l'indiscusso leader, idolo della folla interista, aveva segretamente amoreggiato con la sua vecchia conoscenza Chelsea fino a pianificare abilmente fuga romantica e matrimonio in gran stile.

Matrimonio che, come spesso accade con i folli e passionali colpi di fulmine, è durato giusto il tempo di far incassare al club di Milano 115 milioni di euro e pentirsene. Neanche il tempo di festeggiare i sei mesi insieme che il fedifrago Rom si è già stufato della bella, vincente, ricca e potente nuova signora 'blu' e senza mai riuscire a conquistare l'amore di un popolo anni luce distante rispetto a quello appena abbandonato ecco che lancia uno dei suoi siluri: intervista bomba a Sky Sport Italia mai accordata con il club e parole che squarciano il plumbeo cielo di London e immediatamente dopo quello di Milano. Dalla lontana capitale inglese le parole del belga, affranto e pentito per la scelta fatta, oltre che per il dolore inflitto al suo popolo, hanno fatto presto a echeggiare squillanti tra i corridoi di Viale della Liberazione dove la necessità di consegnare a Inzaghi un centravanti dalle caratteristiche di Romelu iniziava ad occupare i pensieri di Marotta e Ausilio, lesti a fiutare il papabile affare e a fiondarsi in una complessa ma proficua trattativa che sulle prime aveva, comprensibilmente, fatto storcere il naso a molti: dopo stremante corteggiamento e flirt Marotta-Dybala, la Joya, stanca di restare appeso ad un filo che Lukaku avrebbe potuto recidere da un momento all'altro, accetta la Roma lasciando che il ricongiungimento Big Rom-Inter facesse il suo corso. 

Il successivo ricongiungimento, diversamente dalle aspettative, non cominciò con totale coinvolgimento e apertura nei confronti di quello che solamente un anno prima aveva preso un aereo per Montecarlo, tappa pre-londinese, senza voltarsi indietro né battere ciglio eppure la diplomatica e paziente dedizione del giocatore hanno col tempo ammorbidito persino i più rocciosi dei cuori nerazzurri, finiti a far passar in cavalleria la prima disastrosa parte di stagione, le diverse occasioni clamorosamente mancate e gli errori fatti, persino i più gravi come quello di Istanbul e il successivo 'mezzo' scambio di sguardi col Milan. Ma anche alle vie del perdono arriva un limite oltre il quale non si può andare e a mettere un punto definitivo sulla caritatevole quanto masochista attitudine a perdonare il belga sono Marotta e Ausilio. I dirigenti nerazzurri, una volta per tutte stanchi di indossare i panni di Cesare Augusto girano i tacchi e danno un taglio alla storia e se non c'è due senza tre, questa volta i due uomini di mercato tagliano corto al secondo. E dopo essere passati, fingendo noncuranza, sui rumors Lukaku-Milan, non c'è benevolenza che tenga: all'ennesimo tentativo di narcisista sculettamento tra un'offerente e l'altra l'Inter chiude le porte con tanto di cartello: vietato entrare. 

Non c'è porta di servizio che tenga e persino l'intervento dell'amica Roc Nations non ha fatto indietreggiare di un centimetro i nerazzurri, saldamente convinti di voler interrompere ogni qual tipo di dialogo in corso con il giocatore in questione: troppo tardi per spiegazioni, mea culpa e tentativi di risanamento. L'Inter non ci sta più e dopo aver ancora una volta amaramente appurato l'irrilevanza della 'parola', tanto cara al calcio anni '90-2000, quella in cui un gentleman agreement valeva più di una clausola firmata e contro-firmata e oggi sempre più evanescente e svuotata del suo potere semantico, manda fermamente a quel paese l'uomo più vile della tradizione del Biscione. Se qualche giorno fa, con la firma di Milan Skriniar col PSG, era tornato alle cronache il nome di Mauro Icardi, tristemente rispolverato nell'altrettanto avvilente paragone con il sopraccitato slovacco, altro amaro tasto della storia del mercato recente, sempre più assoggettato al dio denaro, con il plot twist delle ultime ventisei ore una cosa è certa: nessuno peggio di Romelu Lukaku. 

Schiavizzato da un personaggio costruitosi addosso, l'attaccante in questione sembra aver irrotto improvvisamente nella realtà con un nuovo personaggio da interpretare: dal fedele e innamorato 'fratello' della Nord a spietato mostro sbucato dal nulla che fagocita persino se stesso e dei cinque 'mai' pronunciati e ben scanditi a Sky alla domanda 'andresti mai alla Juventus o al Milan?' resta nient'altro che un pugno di mosche. O forse è più giusto dire di meme. Ma al di là della goliardica ironia di cui gli stessi interisti si stanno avvalendo l'assurda e surreale gravità che il comportamento di Romelu assume rasenta i limiti dell'indicibile e crocifigge anche buona parte della tifoseria, oggi silenziosamente o costretta a chiedere, seppur in cuor suo, scusa a Mauro Icardi, di certo mai vittima e senz'altro colpevole ma mai a tal punto... Ma questo è un altro discorso che forse mai verrà ripreso. Ma solo forse, diversamente che per Lukaku che dopo essersi ancora una volta macchiato d'alto tradimento tutto potrà fare fuorché pensare di tornare a Milano, dove ormai persino i sanpietrini di Brera, di lui, ne hanno abbastanza. Ma che ne sarà di Big Rom, ora che è costretto a salutare per sempre la sua Inter, a tornare in quel Cobham in cui aveva giurato (oltre che formalmente chiesto) di non voler tornare e ad attendere la fatidica data del 4 agosto nella speranza che arrivi la giusta offerta per Dusan Vlahovic così da poter liberare la casella potenzialmente conquistabile dall'ex United? Ad oggi non è dato saperlo ma una cosa, nel bel mezzo di un oceano di incertezze, possiamo dirla: se avesse giocato come ha recitato, il triplete Guardiola, probabilmente, lo starebbe ancora sognando.



Inzaghi su Lukaku: "Faremo il possibile per riportarlo 
Domenica 16 luglio 2023
00:36 FcIN - Via Lukaku, il mercato parla nerazzurro: da Zapata a Retegui, quanti attaccanti offerti all'Inter
00:29 Prima TS - Morata sfida Lukaku. L'Inter scarica Big Rom, via libera per la Juve
00:26 Prima CdS - Via libera per Lukaku: l'Inter si ritira, c'è solo la Juve
00:07 Monza, Galliani su Carlos Augusto: "È tra gli esterni più forti d'Europa, merita grandi palcoscenici"
00:00 Mai, mai, mai, mai, mai... più all'Inter


Sabato 15 luglio
23:49 Una maglia dell'Inter in regalo a Tananai, il cantante: "Fosse stata di Lukaku non l'avrei presa"
23:34 Udinese, Deulofeu: "Lukaku merita una squadra che gli dia fiducia, spero resti in Italia"
23:19 Il miglior dodicesimo uomo è nerazzurro: Curva Nord premiata da Supertifo per le coreografie
23:04 Carboni si presenta: "Grazie a Galliani e al Monza, voglio ripagare la fiducia in campo"
22:49 Sky - Juventus scatenata, non solo Lukaku: bianconeri al lavoro per avere in prestito Kessié
22:34 FcIN - Post Lukaku, contatto Ausilio-Berta per Alvaro Morata. Dall'Atletico Madrid conferme sulla clausola rescissoria
22:20 GdS - Clamoroso Lukaku: ha comunicato a Pochettino che lunedì sarà in ritiro con il Chelsea
22:06 Rice all'Arsenal, è l'8° trasferimento più caro della Premier League. Superato Lukaku
21:52 D'Ambrosio: "Onorato dall'affetto dei tifosi, l'Inter sarà per sempre parte di me anche se andrò via"
21:38 Napoli, Garcia: "Lo Scudetto? Abbiamo alzato l'asticella, speriamo che resti lì"
21:24 VIDEO - D'Ambrosio acclamato alla festa della Curva Nord, l'ex difensore nerazzurro si commuove
21:10 Goleada del Sassuolo al Real Vicenza: manita di Mulattieri, ultima rete di rovesciata
20:56 Buona la prima per il Monza, Nuova Camunia battuta 11-0: esordio e traversa per l'ex Inter Gagliardini
20:42 UFFICIALE - Inter Miami, ecco Messi: le prime immagini in rosanero
20:28 De Vrij: "Felice del rinnovo, qui mi trovo molto bene. Vogliamo rivincere lo scudetto"

domenica 3 aprile 2022

Londra 1666

Il secondo grande incendio di Londra fu un incendio che si propagò nella Città di Londra dal 2 al 6 settembre 1666 (12-16 settembre, secondo il calendario gregoriano), distruggendola in gran parte. Prima di allora la stessa definizione di "grande incendio" fu utilizzata per un altro grande incendio che nel 1212 aveva distrutto una gran parte della città. In seguito, il raid incendiario del 29 dicembre 1940 condotto dalla Luftwaffe sulla città divenne noto come il secondo grande incendio di Londra. L'incendio del 1666 fu una delle più grandi calamità nella storia di Londra. Distrusse 13.200 abitazioni, 87 chiese parrocchiali, 6 cappelle, 44 Company Hall, la Royal Exchange, la dogana, la cattedrale di Saint Paul, la Guildhall, il Bridewell Palace e altre prigioni cittadine, la Session House, quattro ponti sul Tamigi e sul Fleet, e tre porte della città. Il numero di vite perse nell'incendio è ignoto, anche se la tradizione storica lo ritiene ridotto. L'incendio ebbe profonde conseguenze sulla storia di Londra, anche dal punto di vista sanitario poiché per effetto della morte dei ratti che ne propagavano l'epidemia determinò la fine della grande peste di Londra. Enormi furono le conseguenze anche sull'urbanistica della città, ridisegnata per intero a opera di Christopher Wren, Robert Hooke, e Samuel Pepys per volere di Carlo II d'Inghilterra. Preziose testimonianze sull'aspetto di Londra prima dell'incendio ci sono state tramandate dall'incisore ceco Wenceslaus Hollar.