La sorgente del Lambro: la Menaresta
Al compiersi del 40’ anno di attività, il GRUPPO NATURALISTICO DELLA BRIANZA, ha voluto dare inizio ad un nuovo grande progetto: la tutela della sorgente del fiume Lambro, la fonte Menaresta.
Si tratta di una sorgente insolita, perché intercalare, situata in un luogo di gran suggestione, e quindi da conservare gelosamente, affinché altri, dopo di noi possano goderne.
Ma per ben agire sulla natura bisogna prima conoscerla bene, per non commettere errori e danni. Quindi come primo atto di questo progetto, abbiamo voluto far eseguire da esperti delle diverse discipline scientifiche, alcuni studi preliminari, cui faranno seguito studi più approfonditi e progetti particolareggiati.
Cesare E. Del Corno
Presidente del GNB
PRESENTAZIONE
Il Lambro, il principale fiume della Brianza che aveva la triste fama di essere tra i più inquinati della pianura lombarda – nasce proprio nel cuore del Triangolo Lariano, ad una quota di 944 metri presso il Pian Rancio e, almeno in questo suo primo tratto, scorre ancora limpido, in ambienti non eccessivamente degradati dall’uomo.
La sua sorgente si trova immersa in un magnifico bosco di larici e abeti, i cui aghi determinano una copertura continua del suolo con conseguente povertà floristica del sottobosco, ma conferiscono all’ambiente un’atmosfera quasi incantata.
Il nome di questa sorgente, “Mena-resta”, rispecchia la sua caratteristica più curiosa: ha infatti una portata variabile, ovvero in alcuni momenti versa abbondantemente acqua e in altri meno.
Tale curioso fenomeno è dovuto alla natura carsica della zona e alla conseguente presenza di cavità nella roccia calcarea che si riempiono molto lentamente per poi svuotarsi in un solo colpo come una sorta di sifone naturale.
Narra un’antica leggenda che Autari, re dei Longobardi si fosse convertito al Cristianesimo grazie al ritorno delle acque nei fiumi della Brianza, a partire da quelle del Lambro con la rinascita della Menaresta, ottenuta dalle preghiere della Regina Teodolinda.
Come si raggiunge
Dal paese di Magreglio (744 m) si arriva con una strada carrozzabile alla località Pian Rancio (973 m) dove c’è la possibilità di parcheggio. Qui si seguono le indicazioni per il lariceto dove sono le sorgenti del Lambro.
Inquadramento geomorfologico dell’area
La struttura geologica che alimenta la Sorgente del Lambro si sviluppa in corrispondenza dei rilievi prealpini a morfologia accidentata con valli incise, creste pronunciate e notevole pendenza dei fianchi montuosi. È in altre parole il risultato combinato dell’azione dell’orogenesi e dell’erosione che ha portato all’affioramento di una spessa sequenza carbonatica mesozoica, i cui singoli termini sono individuabili percorrendo le valli del Triangolo Lariano da Nord verso Sud.
Nella porzione orientale e Nord-orientale, ivi compresa la Sorgente Menaresta, affiorano le rocce più antiche. Si tratta in questo caso di formazioni triassiche ove frequente è la presenza di dolomie e calcari di scogliera, testimoni della prevalente deposizione di carbonati in un ambiente marino tropicale/equatoriale con acque relativamente poco profonde.
Queste formazioni si presentano spesso in grossi banchi rozzamente stratificati con una buona resistenza all’erosione ma non alle sollecitazioni tettoniche testimoniate da considerevoli fasce di detrito ai piedi delle pareti principali.
Come già detto, tutta l’alta valle del Lambro e con essa la Sorgente Menaresta risulta incisa nella formazione triassica della Dolomia Principale cui fa seguito, verso meridione, la Dolomia a Conchodon ed ancora più sotto i Calcari di Moltrasio (Giurassico – Lians inf.).
Questa successione carbonatica è facilmente individuabile su estese porzioni rocciose prodotte dai movimenti differenziali esercitati a livello della crosta terrestre ed oggi affioranti senza essere occultate da coltri di depositi sciolti superficiali.
Se per i termini più recenti della successione carbonatica i motivi strutturali hanno reso un contributo più che apprezzabile al modellamento morfologico, citiamo per importanza l’articolato sovrascorrimento di Canzo – Caslino d’Erba, nei territori triassici, sia per l’età più antica sia per la maggiore fragilità delle rigide masse dolomitiche calcaree, l’assetto strutturale è dominato unicamente da faglie e fratture d’ordine minore che hanno suddiviso il substrato in diverse porzioni.
Se dal punto di vista idrogeologico la sorgente del Fiume Lambro è individuabile sul Piano Rancio in località “Menaresta” (922 m s.l.m.), sotto il profilo idrologico il corso d’acqua nasce qualche centinaio di metri più in quota (1324 m s.l.m.) lungo il versante esposto ad oriente del Monte Forcella.
Qui possiamo facilmente distinguere il solco inciso nella roccia dalle acque di scorrimento che alimentano il bacino idrografico del Lambro; si tratta però di apporti legati perlopiù alle precipitazioni meteoriche, tanto che il letto dell’alveo rimane praticamente asciutto per gran parte dell’anno.
È quindi a ragione che la sorgente del Lambro è comunemente indicata in località Menaresta da dove scaturisce attraverso una frattura aperta nel basamento dolomitico.
Ha una portata pressoché continua per tutto il corso dell’anno, ma ad un attento esame mostra un andamento intermittente o meglio intercalante dove, a periodi con modesti apporti, fanno seguito intervalli con sensibili incrementi di portata per poi ancora ristabilire il volume primitivo.
Questo particolare andamento, tipicamente associato alla litologia della formazione triassica, è prodotto dalla presenza di un serbatoio d’acqua sotterranea collegato alla bocca d’erogazione della sorgente per mezzo di un condotto a forma di sifone rovesciato
Quando il livello d’acqua nel serbatoio raggiunge il livello corrispondente al gomito A del sifone, la sorgente incomincia ad incrementare gli apporti sino a che il livello dell’acqua nel serbatoio scende al livello B.
Da questo istante la sorgente riduce la portata sino a che le fessure di alimentazione non hanno riempito nuovamente il serbatoio al di sopra del livello A.
Per continuare a fornire acqua anche durante la fase di ricarica, è probabile che nel ramo discendente del sifone vi siano alcune fessure che alimentano perennemente la sorgente come ipotizzato sulla figura
Le sorgenti di questo tipo non sono infrequenti nella nostra regione, basti pensare alla “Pliniana” nei pressi di Torno, che presenta tre riduzioni di portata, anche se non molto regolari, nell’ambito di 12 ore d’osservazione.
Abbiamo accennato in precedenza all’importanza della litologia per comprendere meglio il particolare assetto idrogeologico che si è andato ad instaurare: ebbene, per quanto il grado di solubilità delle dolomie sia nettamente inferiore a quello dei calcari, non è raro osservare manifestazioni carsiche anche nei pressi della sorgente, su rocce quindi dolomitiche. Qui il processo di carsificazione è però decisamente più lento anche se sì riproduce con le stesse modalità e caratteristiche di un basamento calcareo. Non è raro trovare nelle rocce dolomitiche grotte, doline, voragini e sorgenti, anche se lo sviluppo della circolazione idrica sotterranea si attesta su valori ben più modesti rispetto al modello calcareo.
Anche per questo la Sorgente Menaresta rappresenta una peculiarità della nostra regione, un esempio di una particolare condizione geologica da preservare. Vista la vulnerabilità dell’ambiente si rende pertanto necessario procedere ad un’indagine conoscitiva pluridisciplinare per avere un quadro reale e più approfondito in grado di fornire indicazioni per la gestione e salvaguardia futura della sorgente.
La fauna bentonica
La scintillante medaglia che negli ultimi decenni ha certificato l’evolversi dell’economia brianzola, ha il rovescio scolorito e il corri-spettivo inquantificabile della bana-lizzazione ambientale.
“Un’architettura” under-ground, sub-metropolitana si è insinuata nel patrimonio storico (e culturale); l’anfiteatro morenico dei colli “beati e placidi” ha il respiro pesante e l’ansia sottile di un futuro incerto. Un crinale profondo, muta-geno, nelle risorse e nei valori divide, rispetto ad un recente passato, l’identità di questo territorio. Una perdita quasi silenziosa ha intaccato i contenuti endemici del paesaggio, la salubrità dell’aria, dell’acqua, dei suoli, delle coscienze, qui come altrove, per a caduta etica nelle logiche di progresso.
Gli ecosistemi acquatici, notoriamente snello fragile nella catena degli equilibri territoriali, sopportano, attraverso la loro compromissione, il peso più grave.
Un fiume come il Lambro ed i suoi tributari sono passati da una natura dignitosa e da una capacità biogena senza paragoni a squallide funzioni, peraltro insostenibili in una gestione responsabile del patrimonio idrologico: organo filtratore ed escretore di un’area antropica satura di veleni.
La natura – a differenza di un costume che sullo scempio ambientale costruisce la propria credibilità – edifica in altro modo e segue il proprio iter cercando nuovi equilibri.
Nella fattispecie, poco conosciuta, dell’ambiente fluviale si osserva un fenomeno involutivo delle forme di vita minacciate, come un rinchiudersi od isolarsi fino al passaggio dell’evento catastrofico, cosicché il territorio non antropizzato (quello orofilo è il più ricorrente nel nostro comprensorio) è diventato quasi una nicchia ecologica, un ricovero per organismi altamente specializzati, che richiedono un habitat di qualità superiore per la loro sopravvivenza.
Nelle catene alimentari acquatiche la fauna bentonica (da benthos = fondo) svolge un ruolo primario costituendo una delle strutture basilari del quadro trofico.
La più semplice in verità è costituita dalle comunità perifitiche (quella sorta di patina che ricopre i ciottoli del fiume) cioè da batteri e organismi unicellulari, primo depuratore naturale delle acque. Per quanto di dimensioni minuscole (ma è visibile ad occhio nudo) il benthos costituisce una biomassa rilevantissima nella catena alimentare (è ad esempio l’alimento principale della fauna ittica). Ma l’aspetto meno conosciuto è quello preposto alle funzioni autodepurative dell’ambiente fluviale. Organismi erbivori, detritivori, carnivori, con adattamenti alla corrente (reofili) o ai micro-habitat identici e con funzioni differenziate (filtratori, raschiatori di substrato, demolitori, sminuzzatori di particellato fine e grossolano, etc…) svolgono, in un equilibrio imperfettibile, il rispettivo ruolo ecologico trasferendo energia pulita in ogni fase del ciclo trofico.
Questi preziosi organismi, in genere larve di insetti a metamorfosi acquatica sono da qualche decennio all’attenzione della scienza per un altro significato incontro-vertibile, quello di sensori delle acque. Ogni specie reagisce infatti in modo significativo e “personalizzato” alla complessità delle acque. Ogni specie reagisce infatti in modo significativo e “personalizzato” alla complessità dei fattori di degrado. La presenza od assenza di gruppi o comunità è indice, secondo una metodologia consolidata e ormai di larga diffusione, di qualità o degrado dell’ambiente lotico colonizzato.
La fauna vertebrata
Il territorio nel quale si colloca la celebre sorgente del Fiume Lambro è rappresentato da un ampio terrazzo lievemente rilevato ad est, ubicato al margine nord-occidentale dell’abitato di Magreglio, nel Triangolo Lariano. Le quote variano dai 900 m, sul ciglio della scarpata morfologica, ai 997 m del Monte Corbera. Sotto il profilo paesaggistico, l’area presenta una sostanziale uniformità; una più attenta analisi consente peraltro di riconoscervi almeno due distinte facies: un settore occidentale (Piano Rancio) maggiormente antropizzato e prioritariamente vocato ad una fruizione turistica ed un settore orientale (Menaresta – Monte Corbera) con caratteristiche di più elevata naturalità. La gran parte dell’area è caratterizzata dalla presenza di una copertura arborea continua e diversificata, ove larici, abeti e pini silvestri si consorziano frequentemente a faggi ed aceri, mentre lo strato arbustivo risulta dominato dal nocciolo. Le sole aree a prato-pascolo si concentrano nella zona del Prà Bruschè, posta alle falde del Monte Forcella ed a valle della quale si sviluppa l’impluvio principale del Lambro.
Il quadro ambientale sin qui sinteticamente tratteggiato si completa con l’elenco, anche se parziale, in cui sono stati fatti i rilevamenti della fauna vertebrata omeoterma (Mammiferi e Uccelli).
Qui di seguito è riassunto l’elenco delle specie di presenza accertata, nonché alcune note integrative concernenti la presenza delle medesime. Nel suo complesso l’area ospita non meno di 15 specie.
Mammiferi
Talpa europea, Toporagno comune, Toporagno nano, Lepre comune, Scoiattolo, Ghiro, Moscardino, Arvicola rossastra, Arvicola di Fatio, Topo selvatico, Faina, Volpe, Cinghiale, Capriolo, Riccio,Toporagno alpino, Crocidura ventre bianco, Rinolofo maggiore, Pipistrello nano, Pipistrello di Nathusius, Vespertilio mustacchio, Orecchione, Quercino, Topolino delle case, Tasso.
Avifauna
Avifauna nidificante Ciuffolotto, Picchio muratore, Codibugnolo, Picchio rosso maggiore, Codirosso, Pigliamosche, Colombaccio, Poiana, Cornacchia grigia, Regolo, Allocco, Corvo imperiale, Rampichino, Ballerina bianca, Cuculo, Capinera, Scricciolo, Fringuello, Sparviere, Cardellino, Ghiandaia, Storno, Cincia bigia, Luì piccolo, Tordo bottaccio, Merlo, Zigolo muciatto, Cincia dal ciuffo, Passera d’Italia, Cincia mora, Passera scopaio-la, Cinciallegra, Pettirosso.
Considerazioni generali
Come sinora evidenziato, il Piano Rancio e la Menaresta ospitano zoocenosi mediamente ampie e diversificate, nel cui contesto emerge la presenza di alcune specie poco comuni e/o ecologicamente esigenti, come il Toporagno nano e il Rampichino. Anche in considerazione dell’estensione complessivamente limitata di tali aree e dell’intensa fruizione turistica alla quale sono sottoposte in alcuni periodi dell’anno, si ravvede senz’altro l’opportunità di attuare idonee strategie di gestione dei complessi forestali ed analoghe azioni di tutela dei popolamenti animali.
La vegetazione
La vegetazione presso la sorgente è scarsa e piuttosto povera di specie. La spiegazione di questo fenomeno è dovuta al fatto che la “Menaresta” si trova all’interno di un bosco di conifere, prevalentemente formato da abeti rossi (Picea abies); questi alberi, di considerevoli dimensioni, riducono notevolmente la quantità di luce che può penetrare fino al suolo e contribuiscono, con la costante caduta degli aghi, ad impoverire le caratteristiche del terreno.
Nelle immediate vicinanze della sorgente riesce quindi a vivere solo una flora molto spartana, composta di specie relativamente comuni.
Oltre ai muschi, alle epatiche ed alle minuscole alghe che vivono abbarbicate alle rocce della sorgente stessa, le specie che si possono incontrare sono le seguenti:
1) Abete rosso o Peccio (Picea abies)
2) Nocciolo (Corylus avellana)
3) Rosa di Natale (Helleborus niger)
4) Erba triloba (Hepatica nobilis)
5) Clematis vitalba
6) Ranunculus acer
7) Cardamene impatiens
8) Lampone (Rubus idaeus)
9) Geum urbarcum
10) Fragola (Fragaria vesta)
11) Acetosella (Oxalis acetosella)
12) Geranium robertiahum
13) Acero di monte (Acer pseudoplatanus)
14) Epilobium collinum
15) Edera (Hedera helix)
16) Astrantia major
17) Primula vulgaris
18) Lamiastrum galcobdolon
19) Plantago major
20) Sambuco (Sambucus pigra)
21) Senecio fuchsii
22) Cirsium erisithales
23) Mycelis murales
Le condizioni della vegetazione appaiono buone, nonostante la zona sia fortemente antropizzata.
Sarebbe forse auspicabile sostituire una parte delle conifere, soprattutto quelle più prossime alla sorgente, con altri alberi di alto fusto, ma indigeni, in modo da ricostruire intorno alla Menaresta un ambiente più vicino a quello originario. Dei faggi potrebbero rappresentare la specie ideale.
Il buco delle pecore (Bus di pegur)
La grotta, il cui ingresso è situato alla base di uno dei dossi sovrastanti Magreglio che limitano il Piano Rancio, deve la sua notorietà alla vicina sorgente del Lambro (Menaresta) ed è in questo contesto che la vediamo citata per la prima volta, seppure in modo anonimo, dall’Amoretti nel suo “Viaggio da Milano ai Tre Laghi” (1794).
Nel 1876 G. Frassi in: “Notizie sulla sorgente del Lambro” fa cenno all’esistenza di due piccole grotte situate presso la sorgente stessa.
I primi anni Cinquanta del secolo che sta per finire, segnano l’inizio all’esistenza di due piccole grotte situate presso la sorgente stessa.
Lo stesso periodo segna l’inizio delle prospezioni speleologiche nonché la stesura del rilievo topografico (A. Pozzi e G. Cappa).
Successivamente all’VIII Congresso Nazionale di Speleologia, tenutosi a Como nel 1956, appaiono, a cura di R. Pozzi e S. Dell’Oca, dati speleometrici e catastali. È del 1979, infine, lo studio morfologico della grotta (A. Bini).
Come già detto, la base di una parete rocciosa ospita il non ampio ingresso che conduce a diversi ambienti in cui si possono osservare concrezioni parietali e colonnari, stalattiti, latte di monte e piccole eccentriche. Il pavimento è formato in gran parte da materiale morenico cioè trasportato dai ghiacciai che occupavano il territorio.
La roccia incassante è costituita da Dolomia Principale (Norico).
Attualmente lo sviluppo della grotta assomma a 72 metri con un dislivello di 8. Nei pressi sono da segnalare altri fenomeni quali la Tana del Tasso ed il Buco della Menaresta, confuso a lungo dagli autori con la sorgente del Lambro.
Per la paleontologia le ricerche di G. Senna (1953) hanno restituito una falange di Bos sp. e resti fossili di Marmota marmota L.
Nell’ambito biospeleologico il Buco delle Pecore è una delle stazioni più occidentali dell’ortottero cavernicolo Trogophilus cavicola (Kollar).
Segnalata anche la presenza di coleotteri carabidi (Laemostenus).
Incisioni Rupestri
A pochi metri dalla sorgente della Menaresta vi è un grosso trovante di roccia granitoide, ma di aspetto verdastro per la presenza di muschi e licheni. Ha forma allungata e, superiormente, si presenta come un tetto con due falde di media pendenza che si incontrano lungo la linea di colmo.
Su questa pietra, e solo su questa, compaiono alcune incisioni che sono certamente state eseguite dall’uomo. Si tratta di poche coppelle sparse irregolarmente; fra esse una è posta sulla linea di colmo ed una sullo spigolo orientale. Inoltre sulla falda occidentale compare una incisione rettilinea, lunga 27 cm, che segue quasi la massima pendenza. Poco a monte vi è poi una incisione ovoidale che comprende una piccola coppella bene marcata che si completa in un canaletto che sbocca verso valle.
La presenza di coppelle ed altri segni semplici, detti nel loro complesso “incisioni rupestri non figurative”, sono frequenti un po’ in tutto il mondo e particolarmente sulle Alpi. Nella nostra zona sono concentrate in alcune località (come sulla “Spina Verde” di Como, al Pian delle Noci in Valle Intelvi e sul dosso Rezzonico-Cremia nell’alto Lario); spesso sono presenti su alcune superfici rocciose affioranti o su massi erratici a formare delle composizioni irregolari.
In molti casi la concentrazione delle incisioni e la posizione della pietra incisa fanno pensare a dei veri e propri massi-altare; è infatti molto probabile che questi segni abbiano assolto a funzioni specifiche legate a credenze religiose ed alla celebrazione di antichi riti. Da noi coppelle e canaletti sembrano essere stati eseguiti in periodi molto antichi, probabilmente nel corso dell’Età del Bronzo e, in certi casi, anche prima, ossia nell’Età del Rame o Periodo Calcolitico. Si può quindi ipotizzare che le più antiche risalgano al II o addirittura al III millennio a.C., anche se molte di esse sono certamente state eseguite nell’Età del ferro (I millennio) con il perdurare di certi riti (“culto delle pietre”) fino all’avvento del cristianesimo.
Nel Triangolo Lariano sono presenti alcune decine di massi erratici incisi, senza concentrazioni locali (diversi sono di recente scoperta, ad opera di Irene Gandola di Bellagio, mentre a Franco Redaelli di Canzo dobbiamola segnalazione delle incisioni della Menaresta).
La presenza di incisioni preistoriche o protostoriche intorno alla nostra fonte intermittente è di notevole interesse; infatti in molte parti del mondo i massi a coppelle compaiono in vicinanza di corsi d’acqua o di sorgenti. Le coppelle di Piano Rancio, pur avendo piccole dimensioni, potrebbero essere state utilizzate per versarvi acqua di fonte; la coppella sommitale del masso potrebbe invece avere ospitato un lumino (ottenuto con grasso animale e uno stoppino vegetale, come spesso usato nell’antichità).
L’idea che questi segni possano essere stati eseguiti in un periodo lontano è confermata dalla presenza nel Triangolo Lariano delle altre emergenze, cui si è accennato; esse nel loro complesso rientrano in un più ampio quadro di presenze ed attività umane che mostra caratteri simili sui due versanti delle Alpi