venerdì 17 aprile 2020

Fontana presidente regione Lombardia coerenza 0

Lombardia, Fontana ha paura di perdere consensi: ora vuole aprire tutto

(Luca Telese – tpi.it) – Riaprire!, No, chiudere!, riaprire, no, chiudere, oggi sì, domani no, domani boh. Il caso del presidente della Lombardia Attilio Fontana – risoluto e tetragono a corrente alternata – ha già tutte le caratteristiche per essere studiato domani nelle facoltà di politologia, quando questi giorni folli saranno finiti, come un mirabile esempio di auto-dissipazione. Una sorta di Dottor Jeckyll e Mister Hide ai tempi del Covid,un suicidio amministrativo a mezzo ordinanza.  In questa tormentata vicenda la politica ovviamente non c’entra nulla, la tenuta psicofisica e la lucidità probabilmente sì. Il virus ha fatto cadere ogni distinzione tra destra e sinistra nelle politiche di contrasto, tendendo alte quelle tra buonsenso e follia, tra isteria e calma.

Al contrario del suo collega Luca Zaia, che pure è uomo del Carroccio come lui, Fontana non ne ha azzeccata una. Zaia, miglior espressione di una storica anima del leghismo, quella pragmatica (che ha sempre convissuto con quella ideologica), proprio in nome di questa tradizione di efficienza amministrativa, ha preso una strada e non l’ha più mollata: test e tamponi, monitoraggio e tracciatura. Da due mesi sta tenendo questa rotta, con coerenza quasi ossessiva. Si può criticarlo – forse – ma non certo rimproverarlo sulla linearità e la consequenzialità delle sue scelte.

E poi il governatore del Veneto ha maturato una idea, coltivata nel tempo, costruendo le condizioni per poterla attuare: riaprire in sicurezza. Non bisogna dimenticare che proprio in Veneto – esattamente come in Lombardia – era stata proclamata la prima zona rossa d’Italia. Poi i destini – di sicuro anche per altri fattori – si sono separati e la forza nei numeri si è fatta tirannica nei suoi verdetti: il tasso di mortalità del virus in Lombardia oggi è del 18 per cento, quello del Veneto è del 6.1 per cento, uno dei più bassi, il quintultimo in Italia (in condizioni migliori ci sono solo Molise, Lazio, Basilicata e Umbria).

Quindi la Lombardia oggi produce le cifre più preoccupanti nella spettrografia pandemica, sia in numeri assoluti che in percentuale, sia per numero di contagi che per numero di morti assoluti, sia per tasso percentuale di mortalità. Quindi il tema è che Zaia non solo ha preso una linea coerente, ma ha costruito anche le condizioni per poterla attuare. Fontana – invece – da mesi continua a procedere a zig zag con clamorose capriole che hanno creato disorientamento, sopratutto in chi gli sta vicino: improvvisa di ora in ora.

Solo martedì scorso (non un anno, ma due giorni fa!) il governatore della Lombardia nella sua regione aveva azzerato la cauta disposizione del governo sulla riapertura delle librerie. Troppi rischi di contagio, aveva detto Fontana, troppi potenziali contatti, e le serrande erano rimaste abbassate per 10 milioni di italiani. Chiunque può giudicare come in due giorni non sia cambiato assolutamente nulla, dal punto di vista dei numeri del contagio. E che quindi è davvero incredibile che la stessa giunta secondo cui non c’erano le condizioni per gestire la riapertura (sia pure in esercizi “a traffico ridotto”), difficilmente potrebbe sostenere l’idea di “riaprire tutto”.

Tuttavia è esattamente questo il punto: Fontana adesso dice che vuole riaccendere tutte le attività, comprese quelle industriali, in sole due settimane, esattamente come fino a 48ore fa voleva chiudere ogni cosa in nome della riduzione del contagio. Fontana ha rimproverato al governo di non aver chiuso la famosa zona rossa di Bergamo, ma ha platealmente ignorato che il governo, da una settimana, lo invitava a procedere in autonomia se ne ravvisava gli estremi. La chiusura della Lombardia – come è noto – alla fine è stata decisa, sempre dal governo, con un provvedimento deciso a livello centrale.

Mentre faceva queste pressioni sul governo nazionale perché altri prendessero le decisioni che lui non aveva il coraggio di prendere (avrebbe voluto dire mettersi contro gli imprenditori e la Confindustria regionale), tuttavia, la Lombardia teneva un atteggiamento del tutto divergente nella sua gestione dell’emergenza soprattutto sul piano sanitario, con le direttive che qui su TPI abbiamo documentato con carte e documenti, che sono diventati l’origine di veri e propri disastri (a partire dalla gestione dell’ospedale di Alzano Lombardo).

La Lombardia cercava grandi successi di immagine di sapore “autonomista”, e per fare questo, dopo tanti scivoloni, ha provato a cavalcare la vicenda dell’ospedale della Fiera cercandolo di trasformare “nell’ospedale dei lombardi”, un successo “dei lombardi”, l’ospedale “che ci paghiamo noi con i soldi nostri”, proprio mentre lo allestivano con i respiratori messi a disposizione (come era giusto) dal governo, e richiesti personalmente da Guido Bertolaso, poco prima di ammalarsi, al ministro Boccia. Nelle stesse ore un terzo di tutti i respiratori acquistati dallo Stato italiano (come era giusto) venivano destinati in Lombardia, suscitando anche i malumori degli altri governatori. E nelle stesse ore, voli di medici e infermieri volontari – organizzati da governo e Protezione Civile – arrivavano in Lombardia per sostenere gli ospedali più colpiti.

Nonostante questo, da Fontana, proprio mentre con una mano chiudeva e otteneva, con l’altra arrivavano proteste e invettive “contro Roma”. Anche in questo caso, la differenza con Zaia era abissale: il governatore del Veneto non ha mai fatto lagne, mai creato polemiche artificiose, e anche quando aveva posizioni diverse (come è legittimo) da quelle del governo centrale, il massimo della polemicità che si è consentito è stata “Non è questo il momento di fare polemiche” (come ha risposto in una  intervista a #CartaBianca solo dieci giorni fa).

Il punto adesso è: anche chi, come il sottoscritto, da tempo sostiene l’ipotesi di una “fase 2 intelligente” da applicare nei tempi più stretti possibili, non può non domandarsi come si possa passare dall’idea di una “chiusura totale” a quella di una “riapertura totale” in sole 24 ore, e per giunta proprio nella regione più contaminata d’Italia. La spiegazione è molto semplice: i timori per il consenso in Lombardia stanno determinando le scelte sanitarie della giunta. Mentre, casomai – come nel caso del Veneto – dovrebbe essere esattamente il contrario: solo azzeccando le mosse giuste si può sperare, legittimamente, di costruire consenso.

Ma Fontana in questo momento ha avvertito le pressioni (comprensibili) dei settori produttivi, ha registrato le dinamiche della Confindustria (dove Licia Mattioli, la sfidante del candidato “lombardo” Bonomi, è una aprituttista convinta), si è accorto che il movimento delle “riaperture spontanee” (con i nulla osta, senza veri permessi e con gli escamotages più disparati) abbia preso piede sul suo territorio, in modo diffuso, nelle piccole imprese e negli esercizi, sostenuto dalla forza della disperazione.

Il governatore ha capito – in una parola – di non essere più in sintonia con il suo popolo, e – al contrario – che la linea “ideologica” del chiudere tutto, era invisa ai suoi stessi elettori. Così, mentre fino a ieri cercava consenso con la paura, presentandosi come il campione dei “chiudituttisti” e costruendo la sua polemica contro Roma, all’insegna di un rigore securitario, adesso Fontana ribalta tutto, cambia linea e diventa disinvoltamente “aprituttista”, con l’idea di recuperare il consenso che stava perdendo. È una scelta disperata, che non può invertire la tendenza: nel breve o nel lungo periodo, infatti, qualcuno si presenterà alla cassa a chiudere il conto. E in tempi di follia – come sappiamo – l’unica moneta che paga sempre è la coerenza

mercoledì 15 aprile 2020

juve merdaB

Calciopoli, le tappe dello scandalo

Nel 2006 la revoca di due scudetti alla Juve e la retrocessione in serie B

PAOLO LAURI
Calciopoli scoppiò nell’estate del 2006 con l’inchiesta della Procura di Napoli che disegnò una cupola di dirigenti e arbitri, al cui vertice venne indicato Luciano Moggi, all’epoca direttore generale della Juventus, in grado di alterare le sorti del campionato in favore della squadra bianconera, ma anche di altre squadre amiche. Il cosiddetto «sistema Moggi».

Le accuse

Un ruolo centrale, nell’ambito dell’impianto accusatorio, lo ebbero sin dal primo momento le schede estere di cui Moggi si sarebbe servito per non essere intercettato, e trovate in possesso dei designatori arbitrali dell’epoca: Pierluigi Pairetto (condannato in appello a 2 anni) e Paolo Bergamo (per lui processo da rifare per un vizio di forma).

I rinvii a giudizio

Ventisei le persone che furono rinviate a giudizio tra dirigenti e arbitri: per molti di loro, dopo la condanna di primo grado, è intervenuta la prescrizione del reato. Ma il vero protagonista del processo è sempre stato Luciano Moggi, quello che l’accusa ha subito individuato come il padrone del calcio italiano in grado di condizionarne le sorti a piacimento.

Il principale imputato

Luciano Moggi venne condannato in appello a due anni e 4 mesi per associazione per delinquere (5 anni e 4 mesi in primo grado) mentre le frodi sportive a lui contestate sono state dichiarate estinte per avvenuta prescrizione. Prescrizione che ha riguardato in appello altri protagonisti di Calciopoli, come i patron di Lazio e Fiorentina, Claudio Lotito e i fratelli Diego e Andrea Della Valle.

Prime conseguenze dello scandalo

Nel giro di pochi giorni arrivarono le dimissioni del presidente della FIGC Franco Carraro, di uno dei suoi vice, Innocenzo Mazzini, del presidente dell’AIA Tullio Lanese e dei due principali dirigenti della Juventus, il direttore generale Luciano Moggi e l’amministratore delegato Antonio Giraudo (seguite poi da quelle dell’intero consiglio d’amministrazione della società torinese). Dopo essere stato deferito dalla Procura Federale, si dimise anche il presidente della Lega Calcio Adriano Galliani. Il Comitato Olimpico Nazionale Italiano decise di commissariare la Federcalcio, nominando l’avvocato Guido Rossi come commissario.

Le indagini

Le indagini del Procuratore Federale Stefano Palazzi si conclusero alla fine di giugno 2006. Il processo sportivo di primo grado permise di stilare una classifica definitiva della Serie A 2005-2006, al netto delle penalizzazioni inflitte a Juventus, Milan, Fiorentina e Lazio, utilizzata per determinare i club italiani qualificati alla UEFA Champions League 2006-2007 ed alla Coppa UEFA 2006-2007. Sulla base della medesima classifica, il 26 luglio 2006 la FIGC emetteva un comunicato stampa in cui riconosceva all’Inter, prima classificata dopo le sanzioni inflitte a Juventus e Milan, il titolo di Campione d’Italia 2005-2006.

La sentenza

La sentenza cancellò due scudetti conquistati dalla Juventus (2004-05 e 2005-06), e sancì la retrocessione in serie B della squadra bianconera. Dispose anche pesanti penalizzazioni per Milan, Fiorentina e Lazio.

Il processo penale di Napoli

Il processo penale di primo grado su Calciopoli ebbe luogo tra il 2008 ed il 2011 presso il tribunale di Napoli. L’ 8 novembre 2011, Moggi è condannato a 5 anni e 4 mesi per associazione a delinquere.

Processo d’appello in secondo grado

Il 17 dicembre 2013 in secondo grado Moggi viene condannato a 2 anni e 4 mesi di reclusione, Pairetto e Mazzini a 2 anni, Massimo De Santis a 1 anno, Antonio Dattilo e Paolo Bertini a 10 mesi. Lotito e Della Valle non ottengono sentenza per la prescrizione dei reati a loro imputati.

Le nuove indagini al processo di Napoli

Durante tale processo emersero, principalmente per opera dei difensori di Luciano Moggi, nuove intercettazioni telefoniche che non erano state considerate rilevanti nelle indagini del 2006. Dal momento che il nuovo materiale coinvolgeva fra gli altri i massimi dirigenti dell’Inter all’epoca dei fatti, ossia il presidente Giacinto Facchetti (scomparso nel 2006) ed il patron Massimo Moratti (socio di riferimento del club e successore di Facchetti), la Juventus presentò nel maggio 2010 un esposto al CONI ed alla FIGC chiedendo la revisione della decisione di assegnare ai nerazzurri il titolo di Campione d’Italia 2005-2006.

All’Inter fu contestato l’illecito sportivo con accuse analoghe a quelle mosse a suo tempo alla Juventus. Tuttavia Palazzi stavolta non procedette ad alcun deferimento perché i fatti erano ormai caduti in prescrizione. A nulla valse anche il successivo ricorso della società torinese al Tribunale Nazionale d’Arbitrato per lo Sport in quanto anche il TNAS si dichiarò non competente in merito alla revoca dell’assegnazione dello scudetto.

Il ricorso della Juve:

La Juventus presentò nel novembre 2011 un ricorso al TAR del Lazio contro la Federcalcio e l’Inter, chiedendo un risarcimento danni di circa 444 milioni di euro derivanti, secondo la tesi bianconera, dalla disparità di trattamento sui fatti di calciopoli fra gli eventi del 2006 e quelli del 2011.

Il 30 giugno 2012, la Corte dei Conti respinse il ricorso della Juventus decretando la FIGC non responsabile di danno erariale per essersi dichiarata non competente a decidere nel 2006

juve serie B

25 luglio 2006, terremoto Calciopoli: la Juventus condannata alla Serie B

 di Gaetano Mocciaro
Foto

Il 25 luglio 2006 è una data che sancisce un vero e proprio terremoto nel calcio italiano. Dopo tre giorni di dibattimento e un giorno di camera di consiglio la Corde federale, presieduta da Piero Sandulli, ha emesso le sentenze relative al caso calciopoli: Juventus in Serie B con 17 punti di penalizzazione, tre giornate di squalifica, revoca dello scudetto 2004/05 e non assegnazione del titolo 2005/06. Milan penalizzato di 30 punti per il campionato 2005/06 e penalità di 8 punti da scontare nel torneo 2006/07. I rossoneri, classificatisi secondi nell'ultimo campionato, scendono in quarta posizione e sono costretti ai preliminari di Champions League. Lazio e Fiorentina, inizialmente condannate alla B vengono riammesse in Serie A con forti penalità (-11 i biancocelesti, -19 i viola).

juve doping assolta2005

  • Niente doping Juve assolta a testa alta
Pubblicato nell'edizione del 15 dicembre 2005

Cambiata la sentenza di primo grado Con Agricola scagionata la società

TORINOAssolti, con formula piena per i capi d' imputazione più infamanti. Per Antonio Giraudo e Riccardo Agricola è un trionfo. La Juventus esce a testa alta da sette anni di indagini e processi. Non c' è stata somministrazione di Epo nè di farmaci pericolosi, non c' è stata forde sportiva: i tre scudetti, la Champions League, l' Intercontinentale, le tre Supercoppe e la coppa Italia vinti tra il 1994 e il 1998 sono puliti. Così ha stabilito la terza sezione della Corte d' Appello di Torino ieri pomeriggio, cancellando la sentenza di primo grado che aveva condannato Agricola a un anno e 10 anni mesi e assolto Giraudo. Per la Procura e per Raffaele Guariniello è una sconfitta su tutta la linea, pesante anche dal punto di vista tecnico visto che di fatto i giudici hanno valutato inapplicabile la legge 401/89, quella sull' illecito sportivo. L' amministratore delegato era stato buon profeta al mattino, subito dopo che la corte si era riunita in camera di consiglio. A un tifoso che sulla porta dell' aula gli aveva detto «ci provano qui perché non riescono a batterci sul campo», Giraudo aveva risposto, rivolto però a Guariniello: «Non ci riusciranno, non ci riusciranno neanche fuori dal campo». Un sorriso tagliente è stata tutta la replica del pm, che nell' ultima udienza aveva puntato il dito contro Giraudo sostenendo che il doping alla Juve era una politica aziendale da lui instaurata. Una vera requisitoria, nella quale il procuratore aveva dato fuoco a tutta la santabarbara. Ma nessuna accusa è andata a segno. In tribunale, come a calcio, non basta attaccare per vincere. Bisogna far gol. E la Juventus si è difesa bene, con ordine, con una linea di cinque avvocati fermi nel sostenere la mancanza di prove certe. Quando alle 16, dopo cinque ore di camera di consiglio, il giudice ha convocato le parti per la lettura della sentenza, si è cominciato a intuire che sarebbe stata favorevole alla Juventus. Per primi sono arrivati i pm, visibilmente tesi per quanto sorridenti ad uso di cameramen e fotografi. Poi il collegio difensivo, seguito da Agricola accompagnato dalla moglie: rispetto a un anno fa il medico appariva più tranquillo. Per ultimo è giunto Giraudo, insieme al suo avvocato Paolo Trofino, al direttore commerciale Romy Gai, alla moglie e al figlio, assenti invece in primo grado. Come Luciano Moggi, che al solito si è presentato per ultimissimo: entrando gli si sono appannati gli occhiali, forse per lo sbalzo termico, forse per l' emozione. Emozione che è esplosa come dopo una vittoria in finale alla lettura del dispositivo da parte del presidente Gustavo Witzel: «La Corte... assolve Agricola Riccardo e Giraudo Antonio dal reato di cui al capo G (frode sportiva, n.d.r.), nella parte relativa alla contestazione avente ad oggetto "l' eritropoietina umana ricombinante o pratiche di tipo trasfusionale", perché il fatto non sussiste; assolve entrambi gli imputati dai residui fatti addebitati nel capo G, perché il fatto non è previsto dalla legge come reato; assolve Agricola Riccardo dai reati di cui ai capi H e I (somministrazione pericolosa di farmaci, ndr) perché il fatto non costituisce reato». I 2.000 euro di ammenda inflitti a Giraudo per la contravvenzione della legge 626 (tutela della salute dei dipendenti) non hanno impedito a imputati e avvocati, parenti e amici, di far esplodere la gioia: abbracci, urla, «five», persino qualche lacrima in un crepitio ininterrotto di flash. «Lo sapevo io chequandotrovavoungiudice vincevo - ringhiava Luigi Chiappero dopo la condanna incassata in primo grado da Giuseppe Casalbore - Oggi una persona innocente ha visto riconosciuta la sua innocenza, l' impianto accusatorio era troppo debole». «E' importante che con Giraudo sia stato assolto Agricola - esultava Trofino -, perché questo cancella la macchia dal blasone della società. Guariniello non ha tenuto conto del fatto che la Juventus i fuoriclasse non li ha solo in campo, ma anche fuori». «E' una bellissima giornata - dettava Giraudo ai microfoni che lo assediavano sulla via dell' uscita - Una gioia soprattutto per Agricola che non meritava questo trattamento. Abbiamo avuto giustizia dopo sette anni di niente, in cui su di noi sono state dette solo brutte cose. Ma eravamo sereni perché sapevamo che con una corte seria la verità sarebbe venuta a galla». «Dopo anni di insinuazioni - sospirava Agricola - è la fine di un incubo». E l' inizio della sua rivincita. (a destra), medico della Juve, abbraccia l' avvocato Paolo Trofino. Li osserva l' a.d. Antonio Giraudo (Lapresse)

doping juve 2006 Prescrizione

Juve, prescritti i reati di doping
La Cassazione definisce "astrattamente condivisibile" il ricorso della Procura di Torino contro l'assoluzione di Giraudo e Agricola, ma ha dovuto dichiarare scaduti i tempi e rigettare la richiesta di un nuovo appello

Al centro, il medico Agricola e (dietro) Giraudo. Ansa
ROMA, 29 marzo 2006 - La II Sezione Penale della Cassazione ha dichiarato la prescrizione del reato di frode sportiva nei confronti dell'ex amministratore delegato della Juventus Antonio Giraudo e del medico sociale bianconero Riccardo Agricola. La Corte d'Appello di Torino, invece, nel dicembre 2005, aveva assolto totalmente i due dirigenti juventini. In particolare - a quanto si è appreso da indiscrezioni del collegio giudicante della II Sezione Penale della Cassazione - era "astrattamente condivisibile il ricorso presentato dalla Procura di Torino contro le assoluzioni". Ma non si poteva fare altro che dichiarare la prescrizione, rigettando la richiesta di rinvio del processo ad altra Corte d'appello avanzata dal sostituto procuratore generale, Vito Monetti.
PROVATO L'ILLECITO - In pratica è stata ritenuta provata l'illecita somministrazione di farmaci ai calciatori della Juventus, eccetto che per la eritropoietina (Epo). Nella sentenza, che verrà depositata nei prossimi trenta giorni, sarà ripreso l'orientamento espresso dalle sezioni unite della Suprema Corte, in base al quale c'è continuità normativa tra la disciplina sul calcio scommesse del 1989 e quella antidoping varata nel 2000. Il verdetto di appello era stato emesso il 14 dicembre 2005 dalla Corte di Appello di Torino che aveva assolto Giraudo e Agricola. In primo grado, invece, il Tribunale di Torino, il 26 novembre 2004 aveva condannato il solo Agricola a un anno e dieci mesi per frode sportiva.
LEGALI SODDISFATTI - "È stato un grande successo che sconfessa anni di gogna mediatica perché, con riferimento al tema principale del processo, e cioè l'accusa di somministrazione di Epo, il ricorso del procuratore generale è stato addirittura dichiarato inammissibile". È quanto sottolinea l'avvocato Luigi Chiappero, insieme con Cesare Zaccone difensore del medico della Juventus Riccardo Agricola. Ad assistere Antonio Giraudo c'erano invece Massimo Krogh, Paolo Trofino e Anna Chiusano. "Per quanto riguarda l'intervenuta prescrizione sugli altri farmaci - ha precisato Chiappero - occorrerà leggere la sentenza, anche se va detto che si tratta soprattutto di una questione giuridica. Infatti, la maggior parte dei farmaci non sono ricompresi nei prodotti vietati dalle liste della legge sul doping. Basti segnalare che queste sostanze all'epoca venivano addirittura denunciate al momento del prelievo antidoping"