domenica 7 giugno 2020

1983 Misteri italiani

Luglio 1983. Mirella&Emanuela

MIRELLA GREGORI – EMANUELA ORLANDI 

DIARIO DI

UNA STORIA VERA

EVENTI LUGLIO 1983

1 luglio 1983, venerdì (IX giorno)

Nel mese di luglio arrivano a casa Orlandi numerose telefonate e messaggi di incoraggiamento oltre a moltissime lettere da parte di parapsicologi, radioestesisti, sensitivi e cartomanti che offrono gratuitamente le loro “doti” per la ricerca di Emanuela. Non mancano comunicazioni che segnalano avvistamenti della giovane ragazza vaticana in vari luoghi del paese. Così si legge su un Rapporto Giudiziario dei Carabinieri alla Procura della Repubblica di Roma in data 25 luglio 1983: “Nell’ambito delle indagini tendenti all’identificazione dei responsabili del sequestro di persona in danno di ORLANDI Emanuela, pervengono a questo Reparto Operativo, sia direttamente che tramite Comandi Arma, lettere e telefonate anonime, da parte di persone che danno indicazioni consistenti in indirizzi e nominativi, presso cui, a dir loro, si troverebbe la ragazza scomparsa o indizi per il suo rintraccio. Tali esposti anonimi sono stati, di volta in volta, vagliati scrupolosamente e riscontrati a cura di personale dipendente, ma hanno sempre dato esito negativo e non hanno permesso di acquisire elementi utili alla prosecuzione delle indagini. Si riportano, quì di seguito, quelli ritenuti di maggior interesse: […]”.

Viene stilato l’organigramma del Reparto Vendite della AVON COSMETICS d’Italia che comprende la figura del Direttore Generale, del Direttore Nazionale delle vendite, l’Ufficio Addestramento, i responsabili di zona, e migliaia di presentatrici. Solo a Roma si contano 21 dirigenti, tutte donne e tutte assunte tra fine anni sessanta e l’ultima, il 28 giugno 1982.

  Il Tempo del 24/06/1983

Il commissariato di Polizia “Roma S.Paolo” invia alla Procura della Repubblica un Rapporto Giudiziario con il quale comunica che, a seguito  della comunicazione telefonica del 23 giugno 1983, un pescatore di anguille, Lazzeri Carlo, “si presentava in questo Commissariato e denunciava, oralmente, di aver assistito, nel primo pomeriggio ad un episodio che poi quella stessa sera aveva raccontato a verbale. Secondo quanto dichiarato, alle ore 14,30 circa, il Lazzeri si trovava a bordo della sua barca intento a calare, nelle acque del fiume Tevere, le reti per la pesca delle anguille. Mentre effettuava l’operazione, la sua attenzione venne attratta da un’auto Fiat 127 a quattro sportelli e di colore rosso, in bilico sulla sponda sinistra del Tevere in direzione di Ponte Marconi ed intorno ad essa due giovani […] i quali dopo essersi guardati furtivamente intorno, spinta l’autovettura, l’avevano fatta precipitare nel vuoto facendola finire nelle acque del Tevere. Il Lazzeri aggiungeva, infine, che nel momento in cui aveva notato l’auto precipitare nel vuoto, i suoi occhi si soffermavano su di un particolare ed ossia che dal finestrino dello sportello destro, abbassato a metà, fuoriusciva l’avambraccio destro di una persona”. Le ricerche furono subito condotte nella serata del 23 giugno con l’ausilio della Polizia Fluviale e della Squadra Mobile e riprese nella mattinata del giorno successivo ma con un nulla di fatto in quanto “…il personale dei Vigili del Fuoco pur ponendosi attivamente al lavoro, non riusciva a localizzare il posto esatto nel tratto compreso tra il Ponte della Magliana e Ponte Marconi”. Il trafiletto dell’accaduto viene pubblicato accanto alla prima notizia della scomparsa di Emanuela sul quotidiano Il Tempo del 24 giugno 1983.

2 luglio 1983, sabato (X giorno)

 

luglio
L’Unità del 02/07/1983

 

Alfredo Sambuco, Vigile Urbano in servizio presso il 1° Gruppo Monserrato riferisce, con una relazione di servizio, al Dirigente della Squadra Mobile che mentre espletava il servizio con orario 14,00 – 21,00 in Piazza Madama presso il Senato, verso le ore 17.00 notava un’autovettura tipo BMW vecchio tipo parcheggiata sul lato destro della strada e “vicino alla stessa vi era un uomo e una donna che discutevano e nel contempo, l’uomo mostrava alla donna una borsa contenente presumibilmente cosmetici. Essendo la strada con divieto di fermata, facevo notare al conducente che non poteva sostare. Il predetto mi rispondeva: ‘vado via subito’. L’uomo di cui sopra era di statura 1,70-1,75 circa, di età 40-45 anni circa, con carnagione scura, capelli castani molto stempiato sul davanti. La donna, molto giovane con capelli lunghi scuri. Circa un’ora dopo, mi veniva richiesta da parte di un uomo, dove si trovava la sala Borromini, davo l’indicazione, ma non posso precisare se si trattasse della stessa persona che poco prima parlava con la donna vicino alla suddetta auto BMW”.

3 luglio 1983, domenica (XI giorno)

Al termine della preghiera mariana dell’“Angelus Domini”, il papa (Giovanni Paolo II – Karol Wojtyla) rivolgendosi ai 40 mila fedeli, esprime con le seguenti parole la sua partecipazione all’ansia e all’angoscia della famiglia Orlandi per la sorte di Emanuela, scomparsa da molti giorni da casa. 

 

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Desidero esprimere la viva partecipazione con cui sono vicino alla famiglia Orlandi, la quale è nell’afflizione per la figlia Emanuela di 15 anni, che da mercoledì 22 giugno non ha fatto ritorno a casa. Condivido le ansie e l’angosciosa trepidazione dei genitori, non perdendo la speranza nel senso di umanità di chi abbia responsabilità di questo caso. Elevo al Signore la mia preghiera perché Emanuela possa presto ritornare incolume ad abbracciare i suoi cari, che l’attendono con strazio indicibile. Per tale finalità invito anche voi a pregare”. 

Sul comunicato della sala stampa vaticana per gli appelli del Papa era scritta la categoria dei vari interventi. Per l’appello che riguardava Emanuela la categoria era “sequestri di persona”.

 

      Testo Angelus del 03/07/1983

4 luglio 1983, lunedì (XII giorno)

A seguito di segnalazione anonima che segnalava la presenza di Emanuela, viene perquisito uno stabile in zona Labaro che dava esito negativo.

5 luglio 1983, martedì (XIII giorno)

Il 5 luglio verso le 13,50 uno sconosciuto telefona alla sala stampa della Città del Vaticano coordinata da monsignor Romeo Panciroli. L’anonimo ha o simula un marcato accento anglosassone e per questo motivo, da allora venne chiamato “l’Amerikano”. Spiega che alcune importanti informazioni sulla ragazza sono state fornite da altri elementi dell’organizzazione alla quale anche lui fa capo. Li cita per nome e li definisce come “nostri emissari” e “ulteriori elementi di prova sono a conoscenza del cittadino Orlandi Ercole attraverso le informazioni dei nostri elementi aventi nome Pierluigi e Mario” quindi pone la condizione per il rilascio di Emanuela: “Papa Wojtyla deve intervenire per conseguire la liberazione di Alì Agca entro il 20 luglio”. Fornisce quindi un codice di riconoscimento per i contatti successivi: è il numero 158. La Santa Sede non diede notizia di questo contatto.

 

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Lo stesso giorno, un’ora dopo, verso le 13,45  l’Amerikano telefona a casa Orlandi e fa ascoltare un nastro con registrata la voce di Emanuela e fa sapere che avrebbe fatto pervenire altre notizie attraverso Funzionari del Vaticano.

«Ascolti bene, abbiamo pochi momenti. Questa essere della sua figlia», dice l’anonimo, pensando di parlare con il padre di Emanuela (al telefono c’è invece lo zio, Mario Meneguzzi).

Meneguzzi: «Sì, ma me la faccia sentire bene».

Amerikano: «Okay, one moment. Ali right, let’s go!» Un nastro registrato con una voce di ragazza che ripeteva per sette volte la frase: «Scuola, convitto nazionale Vittorio Emanuele Secondo, dovrei fare il terzo liceo st’altr’anno, scientifico».

 

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Meneguzzi: «Mi faccia almeno una proposta, no?», chiese lo zio, convinto di aver riconosciuto la voce della nipote.

Amerikano: «Allora, mi ascolti, funzionari del Vaticano non mancheranno di mettersi in contatto con lei, io le faccio i miei personali auguri che questo…», rispose l’uomo mentre parlottava con qualcuno.

Meneguzzi: «Sì, ma chi si mette in contatto con me, scusi?»

Amerikano: «Non si preoccupi, personaggi del Vaticano non mancheranno di avere contatti con lei…»

Meneguzzi: «La bambina sta bene? Mi dica almeno, no?»

Amerikano: «Non si preoccupi, io non potere ora. Non avere autorizzazione a parlare. One moment please…» Seguono alcuni bisbigli, «Io le faccio i miei personali auguri che la questione si risolverà bene per…», il fischio di un treno copre le parole del telefonista.

 

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Dopo questa telefonata i giornali cominciano a seguire l’evolversi della storia di Emanuela che fino a quel momento era stata considerata alla stregua di una delle tante ragazze scomparse e a dedicarle importanti servizi.

Seguono il caso, il Sostituto Procuratore Margherita Gerunda (specializzata in sequestri a scopo di estorsione), il Capo della Squadra mobile di Roma Luigi De Sena, il vicecapo della Digos Antonio Sirleo, il dirigente della Sezione Omicidi Nicola Cavaliere.

Subito dopo la telefonata dell’Amerikano, scattano le indagini e il Magistrato Margherita Gerunda chiama a depositare Ercole Orlandi per raccontarle tutta la storia.

Alle ore 18,30 viene ascoltata dai Carabinieri Suor Dolores, al secolo Lidia Salsano, Direttrice della scuola di musica che frequentava Emanuela,  la quale dichiara di conoscere Emanuela da circa quattro anni e che il 22 giugno la stessa è entrata con quindici minuti di ritardo ed è uscita alle 18,45 e “… si è fermata a parlare con delle amiche dicendo di non poter prendere il pullman in quanto doveva fare una telefonata alla sorella”.

Alla stessa ora, sempre presso la Legione Carabinieri di Roma – Reparto Operativo 5^ Sezione viene ascoltata Alessandra CANNATA la quale afferma che “Non mi consta che Emanuela fosse fidanzata, so che aveva molti amici di ambo i sessi e che solitamente frequentava loro che abitavano al Vaticano”. Ascoltata di nuovo il 13 novembre 2008 da Simona Maisto alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Roma dichiarava: “Conoscevo Emanuela ORLANDI perché frequentavamo entrambe la scuola di musica a Sant’Apollinare ed in particolare il corso di solfeggio. Avevamo legato abbastanza e parlavamo di faccende legate alla frequentazione della scuola. Ricordo che una volta sono andata a pranzo a casa sua e ho conosciuto la famiglia. Il ricordo che ho di Emanuela è di una ragazza estremamente tranquilla e riservata. Non ricordo che mi abbia fatto mai alcuna confidenza su cose sue personali”. 

Un rapporto della Guardia di Finanza datato 5 luglio 1983 riporta: “A Londra, la sera della scomparsa di CalviVittor avrebbe visto le persone che lo prelevavano dall’abitazione. Questi sarebbero stati inviati da Gelli e Carboni che si trovavano a Londra. Calvi sarebbe stato invitato a cena e alla cena avrebbe partecipato anche Vaccari Sergio [che dovrebbe identificarsi nel Volpi di cui al nostro appunto n. 1 in data 7 gennaio 1983], successivamente morto, che sarebbe stato l’ultimo a vedere Calvi in vita“. Il rapporto aggiungeva che Gelli era volato negli Stati Uniti il giorno dopo, mentre Carboni si era spostato a Edimburgo con la sorella dell’amante austriaca di Vittor (Manuela Kleinszig, con cui già aveva una relazione). In realtà Carboni era volato a Edimburgo, ma con un’altra donna. Il contenuto di questo rapporto fu reso noto a un procuratore di Trieste, Oliviero Drigani, e alla direzione generale della Guardia di Finanza. Drigani considerava tali informazioni così importanti che diede istruzioni alla polizia finanziaria di non condividerle con nessun altro corpo di polizia, né coi servizi segreti.

6 luglio 1983, mercoledì (XIV giorno)

Il quotidiano Il Tempo scrive di un’altra ragazza sparita poco prima di Emanuela: Mirella Gregori. Diventerà “la seconda Emanuela” per gli anonimi telefonisti che rivendicheranno i sequestri.

 Mirella Gregori

Comprensibilmente allarmato dalla telefonata dell’AmerikanoErcole Orlandi decide di andare dal suo superiore Dino Monduzzi, (l’altro era il Cardinale Jacques Martin) il prefetto della Casa Pontificia che si occupa delle udienza del papa, per chiedere se in Vaticano qualcuno ne sa nulla e se è arrivata qualche telefonata. Monduzzi si rivolge a Martinez Somalo, il vice del Cardinale Agostino Casaroli, che nega. Monduzzi però insiste e finalmente il monsignore si decide ad ammettere che «Sì, ieri è arrivata una telefonata di questo tipo, ma non si è capito assolutamente niente di cosa dicesse o volesse».

Nel pomeriggio, alle 16,30, un giovane chiama la redazione dell’Ansa di Roma.

Giovane: “Stammi bene a sentire. Noi abbiamo Emanuela Orlandi, la studentessa di musica. La libereremo soltanto quando sarà scarcerato Agca, l’attentatore del papa”.

Cronista: “A quale organizzazione appartieni? E quali elementi mi dai per provare che la ragazza è nelle vostre mani?”

Giovane: “Non importa a quale organizzazione appartengo. Ti posso dire soltanto che giorni fa abbiamo avuto un contatto con la segreteria vaticana. Un messaggio che il vaticano ha nascosto. Nel messaggio si chiedeva l’intervento del papa presso il governo italiano per la scarcerazione di Agca che deve venire entro venti giorni”

Cronista: “Che cosa succederà se entro venti giorni non avviene quanto chiedete?

Giovane: “Non lo so. Ho solo l’incarico di telefonare. Andate in Piazza del Parlamento e in un cestino di rifiuti troverete la prova che la ragazza è nelle nostre mani”

 

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Il giornalista si precipita nel luogo indicato e in un cestino trova una busta gialla con all’interno una fotocopia. Su un unico foglio è riprodotta la tessera di iscrizione (numero 462) alla scuola di musica con la fototessera di Emanuela, una ricevuta datata sei maggio 1983 di un versamento alla scuola di musica di cinquemila lire per la tassa di esame, il numero di telefono di casa Orlandi e una frase di saluto autografa: “Con tanto affetto – la vostra Emanuela”.

Al cronista dell’Ansa, MDP, viene fatto ascoltare il nastro con la registrazione della telefonata pervenuta in casa Orlandi alle ore 13,50 del 5 luglio e dichiara che la voce dell’ignoto interlocutore è completamente diversa da quella del 6 luglio.

Dal 6 luglio, Dan Rather, uno dei più popolari conduttori statunitensi, presenta gli ultimi aggiornamenti sulla vicenda Orlandi ai venti milioni di americani che ogni sera seguono la CBS. Ad inviare i servizi è il corrispondente da Roma Richard Roth (uno dei giornalisti accreditati che viaggiava, il 23 giugno 1983, sullo stesso aereo che riportava il papa a Roma da Cracovia e che riceverà poco più tardi quattro missive del gruppo “Phoenix” da Boston).

L’Unità pubblica un articolo rendendo noto che il vaticano contribuirà a versare, in quattro anni, due miliardi di dollari in un fondo a favore dei contadini privati della Polonia.

luglio

7 luglio 1983, giovedì (XV giorno)

L’agenzia Ansa scrive: “Era un BMW nera vecchio tipo l’auto a bordo della quale si trovava l’uomo che ha avvicinato Emanuela Orlandi all’uscita della scuola di musica il 22 giugno scorso. Lo ha riferito agli investigatori un vigile urbano in servizio quel giorno davanti a Palazzo Madama. Il particolare è stato reso noto stamani dalla direttrice della scuola di musica Ludovico da Victoria, suor Dolores […] la suora ha detto che il vigile aveva già notato Emanuela verso le 16 parlare con la stessa persona e si era insospettito, ma poi vedendoli di nuovo, aveva pensato che i due si conoscessero”.

Il Messaggero pubblica per la prima volta in prima pagina un articolo su Emanuela: “In cambio di Emanuela chiedono Alì Agca”.

 Il Messaggero 07/07/1983

Il papa continua ad interessarsi al caso e il sette luglio riceve Ercole Orlandi assicurandogli che: “Farò il possibile per far tornare a casa sua figlia”.

Il Messaggero 08/07/1983

 

L’Amerikano telefona di nuovo a casa Orlandi alle 16,15. Parla con lo zio di Emanuela Mario Meneguzzi, sempre convinto che sia il padre di Emanuela.

Amerikano: «El signor Orlandi?»

Meneguzzi: «Sì, sono io».

Amerikano: «Mi sono recato ieri pomeriggio da ragazza, ho viaggiato, ho fatto il più presto possibile. Allora, prendi nota attentamente, prendi nota. E dunque la tua figliola non è nata in Vaticano. El primo anno de la sua infanzia, de la sua infanzia non è vissuta in Vaticano. Esatto? Poi la più grande, la più grande altra sua figliola, capisci? L’altra sua figliola, Natalina, pure lei metteva le occhiale e da tempo non le mette più. Allora… il sacerdote che deve celebrare la unione de la sua Natalina è un amico, conoscente de la famiglia. Ora il ca… come si dice, la star? L’atto… il cantante favorito de la ragazza… Baglioni Claudio . Poi… il…»

Meneguzzi: «Ma la mia bambina…»

Amerikano: «Guardi, io non ho tempo. Mi hanno riferito che lei m’ha chiesto il lunedì dove è stata al ristorante… Senta, signor Orlandi, io mi meraviglio del la sua intelligenza, questa non può essere, capisce, una prova, non capisce che noi potevamo pedinare la ragazza prima, prima di… de prelievo, non capisce che anche quindici, venti giorni ci sono pedinamenti. Io veramente meravigliato molto… Io penso questa mossa di inquirenti, capisce? Ora io… Ah! Poi un’altra cosa, ultimo elemento: a una ragazza tua piace un ragazzo di nome Alberto che ora militare. Ascolta, non dire queste cose ai giornalisti: questo mi avere chiesto tua figliola. La tua figliola ha detto: “Non divulgate queste cose”, come se una forma di pudore. Io dovere lasciare, io dovere salutare, veramente. Buongiorno a te…»

Stampa Sera 07/07/1983

Alle ore 14,30 viene ascoltato presso la Legione Carabinieri di Roma – Reparto Operativo 5^ Sezione Massimo F., rappresentante di commercio di prodotti cosmetici e tricologici il quale, sorpreso dalla convocazione, dichiara che “durante la mia attività svolta […] non ho mai assunto ragazze per la vendita a domicilio di prodotti di cosmetica perché le società che ho rappresentato non hanno mai svolto questo tipo di vendita”.

Ercole, la sera stessa, superò la riservatezza e affidò ai giornali queste parole: «Vorrei dire a Emanuela di rimanere calma e serena. Lei ha un carattere non ancora formato: è fatta di un misto di ottimismo e di pessimismo, ma adesso deve sperare… In casa, con gli amici, l’ha dimostrato: sa essere forte se c’è da essere forti; e invece si rannicchia come usano gli adolescenti, quando si sente debole. Ecco, io vorrei pregare Emanuela di fare la forte. Devi avere tanta fede. Vedrai che il Signore ci aiuterà. Ai rapitori, anche se proprio non li capisco, vorrei dire di trattare bene Emanuela, come senz’altro stanno facendo. Trattatela bene e non fatele del male, perché è solo una ragazzina e potreste lasciare delle tracce profonde per tutta la sua vita. Sarebbe crudele e disumano».

8 luglio 1983, venerdì (XVI giorno)

La mattina dell’8 luglio alcuni giornali riportano le ipotesi della polizia secondo le quali i rapitori di Emanuela sarebbero un gruppo terrorista che opera con precise finalità terroristiche.

Verso le quattro del pomeriggio, uno sconosciuto, un uomo maturo che parla italiano con accento mediorientale, telefona a casa di una compagna di scuola di Emanuela (che ha conosciuto alla scuola di musica solo poco tempo prima del giorno della scomparsa)  Laura Casagrande. Risponde la madre e  mentre l’interlocutore le detta un messaggio da consegnare all’Ansa, Laura prendeva nota: “Dimostriamo il buono stato della ragazza con la sua collaborazione nel consegnare questo numero telefonico di … tramite … con l’agenzia Ansa. Abbiamo  prelevato la cittadina Orlandi Emanuela unicamente per la sua appartenenza allo Stato del Vaticano. Abbiamo atteso, per inoltrare la nostra richiesta, l’appello del capo di Stato Giovanni Paolo II, domenica 3 luglio. Funzionari vaticani e inquirenti della Repubblica italiana tendono a screditare la vera natura della richiesta, riducendo negativamente il tempo a disposizione per le nostre trattative. Ci appelliamo alla pubblica opinione e alle forze politiche, al fine che ci si indirizzi verso un dibattito per una scelta umanitaria nei confronti di Emanuela Orlandi. Non siamo un’organizzazione rivoluzionaria o terroristica, non ci siamo mai definiti tali. Ci qualifichiamo solo come persone che hanno interesse nella liberazione di Agca. La cittadina Orlandi, attualmente non si trova in territorio italiano. Redigeremo un documento che sarà inviato con i prossimi sviluppi alla Segreteria di Stato del Vaticano. I termini devono concludersi per il 20 luglio e non entro venti giorni come pubblicato dagli organi  di stampa. Rivendichiamo esclusivamente tre contatti: martedì 5 luglio con la segreteria di Stato vaticana. Nella stessa ora dimostravamo la veridicità di questo contatto con i familiari. Una terza volta con l’Ansa mercoledì 6 luglio. In ogni contatto futuro dimostreremo la veridicità immediata. Le precedenti telefonate di cui riferiscono gli organi di stampa non ci appartengono. Non abbiamo sollecitato l’appello del papa di domenica 3 luglio, contrariamente attendevamo questo appello per il primo contatto. Invitiamo la segreteria vaticana a predisporre una linea telefonica diretta col cardinale Agostino Casaroli usufruibile con il numero di codice stabilito”.

 

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luglio

 

 L’Unità 08/07/1983

In merito a questa telefonata, lo stesso giorno, Laura Casagrande e la madre vengono sentite a processo verbale di Sommarie Informazioni Testimoniali presso la Questura di Roma. Laura afferma che “… la telefonata perveniva da una cabina telefonica, probabilmente vicino ad una strada molto trafficata in quanto si sentiva il rumore di motori delle auto e quello dei clacson […] Frequento, unitamente a Orlandi Emanuela la scuola di musica Ludovico da Victoria e sicuramente, nel corso dell’anno scolastico le avrò dato il mio numero di telefono e l’indirizzo, scrivendoglielo, mi ricordo, su un foglietto di carta.

Arrivano due chiamate all’Ansa di Roma. Una prima chiamata verso le sei e un quarto (due ore e 15 minuti dopo la telefonata a Laura Casagrande) ma viene interrotta; la seconda verso le diciannove. Un uomo dall’accento straniero conferma che l’obiettivo dell’operazione è la liberazione di Agca. “Ha ricevuto il messaggio che abbiamo dettato a Laura, l’amica della Orlandi? E’ la prova che Emanuela è in ottima salute. E’ lei che ci ha fornito il numero di telefono dell’amica. Noi non svolgiamo questa operazione per propagandare chi siamo o che cosa siamo, ma solo per avere Agca. La chiave della trattativa non è una sigla…” La telefonata si interrompe bruscamente ma dopo quaranta minuti richiama e aggiunge: “La chiave della trattativa non è una sigla ma la controparte di cui disponiamo e l’oggetto della richiesta. In Con i suoi mezzi  e se vuole, (Agca nda) andare a Brandeburg. Lui capirà. Non credete alle sue rivelazioni. Non è vero che è un uomo fragile. Agca non è sotto processo…”

Verso le otto di sera, dopo un interrogatorio, Alì Agca compare nel cortile della questura scortato da un nugolo di agenti. I giornalisti ne approfittano per incalzarlo con le domande sul personaggio chiave, Sergej Ivanov Antonov, capo scalo della compagnia di bandiera bulgara (Balkan Air) accusato e poi prosciolto di essere implicato nell’attentato al papa. “Condanno l’attentato al Papa: sono stato lo strumento del Kgb. Sono contro questa azione criminosa, sono con la ragazza innocente e con la famiglia che sente dolore, rifiuto ogni scambio con qualcuno, sto bene nelle carceri italiane. Antonov è mio complice sono stato più volte in Bulgaria e in Siria e nell’attentato al papa sono coinvolti anche i servizi segreti bulgari, sovietici e il KGB”.

 

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Alle ore 21,00 in casa Orlandi telefona lo straniero. La telefonata viene classificata dagli inquirenti come molto utile.

Un anonimo telefona in vaticano: “la cittadina Emanuela Orlandi attualmente non si trova in territorio italiano”.

 

luglio
 Il Messaggero dell’8/07/1983

9 luglio 1983, sabato (XVII giorno)

 Maria Vittoria Arzenton

In una intervista sul quotidiano Il Tempo, la madre di Mirella GregoriMaria Vittoria Arzenton racconta: “Tutti gli appelli sono stati inutili […] e la mia bambina non è certo il tipo da tenermi pena per sua spontanea volontà, così a lungo. E, come ho già detto, i nostri rapporti sono ottimi, la sua fiducia in me assolutamente totale. Non sarebbe mai fuggita, non ne aveva motivo, né forza, di farlo. Limpida, incapace di sotterfugi, senza misteri. L’hanno attirata in un tranello”.

I familiari di Emanuela Orlandi rivolgono un ulteriore appello ai rapitori affinché forniscano prove certe che la ragazza sia in vita. “Temiamo per la vita di Emanuela. Non sappiamo niente di lei. Chiediamo ai rapitori, chiunque essi siano, un segnale preciso: una foto con un giornale di data recente, il racconto di un episodio specifico, i particolari di una cena, magari quella del lunedì prima della scomparsa”.

Una telefonata anonima giunta alla redazione milanese della rivista “Famiglia Cristiana” riferisce a nome dei Lupi Grigi che il corpo senza vita di Emanuela si trova nelle acque del lago di Bolsena. Effettuate le verifiche con esito negativo.

Il quotidiano della Santa Sede L’Osservatore Romano, nella rubrica “Lettere al Vaticano” del supplemento domenicale a firma di Don Claudio Sorgi  scrive: “di Emanuela forse voi vorreste che noi parlassimo di più. Emanuela Orlandi è la ragazza, nostra vicina di casa, qui in Vaticano, che è scomparsa da alcuni giorni e di cui si è saputo che è in mano a un gruppo oscuro che per liberarla, chiede contropartite assurde. Che altro possiamo dire, oltre alle scarse notizie di cronaca? E’ un fatto tristissimo ma anche pericoloso. Non possiamo rischiare di fare rumore inutile in una vicenda che ha tutto da guadagnare col silenzio, il buon senso e la preghiera”.

Alle 19,30 viene interrogata in Questura Raffaella Monzi compagna di corso di Emanuela all’istituto di musica la quale riferisce di aver lasciato l’amica (il 22 giugno) in Corso Rinascimento, alla fermata dell’autobus, verso le ore 19.00. Durante il tragitto dalla scuola alla fermata dei mezzi pubblici, Emanuela le aveva detto che doveva incontrare certe persone con cui avrebbe dovuto parlare di un lavoro di volantinaggio per la ditta AVON, da farsi un solo giorno, dalle ore 16,30 alle 18,30, che le sarebbe stato retribuito con la somma di 375.000 lire. Le aveva fatto presente che la cosa sapeva di “fregatura” ed Emanuela le aveva risposto che avrebbe vagliato attentamente la proposta appunto per evitare spiacevoli sorprese. Aveva poi preso l’autobus della linea numero 70, unitamente a Maria Grazia Casini, nel frattempo sopraggiunta, mentre Emanuela era rimasta, sola, alla fermata. Riferisce anche che ha conosciuto Emanuela all’inizio dell’anno scolastico del precedente anno e cioè  due anni prima ma che la loro amicizia “non è stata mai molto stretta, anzi si è limitata a qualche scambio di opinioni sulle lezioni o su qualche altra frivolezza. Devo dire che con me era piuttosto distaccata […] per questo motivo non mi ha mai riferito alcun particolare sulla sua vita privata, tranne quello sulla circostanza del lavoro di volantinaggio per conto di un rappresentante dell’AVON”. Ha poi aggiunto che “L’Emanuela ha precisato che aveva trovato tale lavoro, insieme ad una sua amica, senza precisarne il nome”.

Verso le 20,25 nella redazione de Il Messaggero viene registrata una telefonata: “Qui brigate rosse, Emanuela Orlandi è stata uccisa”.

Il Messaggero del 09/07/1983

10 luglio 1983, domenica (XVIII giorno)

Stampa Sera dell’11/07/1983

All’Angelus, il papa fa il secondo appello per Emanuela (non vi è traccia nella documentazione online del vaticano). “Come domenica scorsa, desidero raccomandare alla vostra preghiera Emanuela Orlandi, della quale anche io, e noi tutti insieme con gli afflitti familiari, attendiamo con ansia il ritorno. Chi potrebbe restare insensibile di fronte a questa, come ad altre simili prove tanto crudelmente penose? La nostra preghiera, mentre invoca protezione e incolumità per la giovane Emanuela, intende altresì implorare conforto e coraggio per i suoi cari. Ai genitori di Emanuela rinnovo l’espressione della mia partecipazione al loro dramma. Per parte mia posso assicurare che si sta cercando di fare quanto è umanamente possibile per contribuire alla felice soluzione della dolorosa vicenda. Voglia Iddio concedere che alla trepidazione di questi giorni faccia seguito finalmente la gioia dell’abbraccio tra la ragazza e i suoi familiari”.

Alle 17.00 viene interrogata, per la seconda volta, Suor Dolores la quale conferma ciò che ha reso a verbale il 5 luglio ed aggiunge che “… la lezione quel giorno è terminata alle ore 18,45, ora in cui tutti gli allievi sono usciti dalla scuola, compresa Emanuela”.

Si ritiene importante interrogare Daniela Marzari (compagna di scuola del Convitto Nazionale Vittorio Emanuele II e frequentatrice, insieme ad Emanuela del gruppo dell’Azione Cattolica). Per questo motivo viene raggiunta nella località ove villeggiava insieme ai genitori in provincia di Reggio Calabria, da Nicola Cavaliere.

Alle 19,30 il solito individuo dall’accento straniero telefona a casa Orlandi e comunica alcuni particolari concernenti Emanuela. Non saranno però gli stessi che Mario Meneguzzi aveva richiesto attraverso la stampa. La telefonata viene classificata molto utile dagli inquirenti.

luglio
 Il Messaggero del 10/07/1983

In serata, tra le 19,45 e le 22,30, alla redazione del quotidiano Paese Sera arrivano tre telefonate. L’Amerikano ribadisce che l’organizzazione non è interessata ad un riscatto ma suo interesse esclusivo è la liberazione di Alì Agca e fa sapere al giornalista Sandro Mazzerioli che nella cappella dell’aeroporto di Fiumicino è stato collocato uno scritto della Orlandi indirizzato ai genitori. Si tratta della fotocopia con il retro della tessera di iscrizione della ragazza all’istituto di musica con i timbri relativi agli anni 1979-80, 1980-81 e 1982-83. Sullo stesso foglio compare un messaggio scritto a mano e attribuito ad Emanuela: “Per Ercole e Maria Orlandi. Cari mamma e papà, non state in pensiero per me, io sto bene”. Successivamente, nella seconda e terza telefonata, ribadisce che i termini di scadenza per lo scambio Emanuela-Agca non sono modificati e che darà istruzioni per la liberazione e per il trasferimento di Agca all’estero.

 

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Ore 19,45 prima telefonata: “Abbiamo dato risposta alla richiesta di informazioni nel corso di un precedente contatto alle ore 15. Ho recato uno scritto della Orlandi indirizzato ai genitori. Potete trovarlo nella cappella dell’aeroporto Leonardo da Vinci. Repliche alle i insinuazioni nei confronti del precedente indirizzo, con quello dell’amica più cara della ragazza […]. Richiamo”.

Ore 20,40 seconda telefonata: “Il dettaglio del lunedì precedente al prelievo dimostra la volontà continua di screditare delle autorità vaticane e italiane. Per questioni tecniche devo interrompere. Chiamo più tardi”.

Ore 22,45 terza telefonata: “Contrariamente risulta demenziale il sopporre valida una prova del genere, sapendo che una ragazza era certo controllata per un periodo certo più lungo che non cinque giorni. Ribadiamo la nostra posizione e la sua scadenza entro dieci giorni. Le dichiarazioni del detenuto Agca non influiscono minimamente. Oggi abbiamo fatto pervenire ai familiari delle prove, delle informazioni sulla vita della ragazza: non certo il fatto del lunedì perché la ragazza era controllata. Poi, da oggi in poi, dovremo cambiare atteggiamento nei confronti della stampa, che continua a insistere che si tratta di un rapimento per estorsione. Parlate soltanto di Agca. Noi dobbiamo cambiare continuamente distretto lei capirà perché. Buongiorno, anzi buonasera”.

 11 luglio 1983, lunedì (XIX giorno)

Mario Meneguzzi lancia un nuovo appello alla Tv: “Fateci pervenire una fotografia di Emanuela con la copia di un giornale, per assicurarci che stia bene, oppure diteci dove ha cenato il lunedì precedente la scomparsa” (il 20 giugno 1983, due giorni prima) usate i canali che avete già adoperato. Il telefono di casa, l’agenzia di stampa. Se volete, anche la Segreteria di Stato vaticana”.

  Il Messaggero dell’11/07/1983

Viene interrogata Gabriella Giordani, una ragazza molto amica di Emanuela e componente del gruppo con la quale aveva appuntamento il 22 giugno nei pressi della Mole Adriana. Alle ore 10,15, negli Uffici della Sezione Omicidi della Squadra Mobile dichiara:”… la Emanuela è una ragazza molto seria e di carattere abbastanza vivace e sveglio […] talvolta accadeva che l’Emanuela venisse infastidita per strada essendo la stessa alquanto appariscente e carina, ma lei reagiva in maniera brusca […] conosco molto bene l’Emanuela e posso escludere che la stessa avrebbe facilmente abboccato alle offerte di uno sconosciuto per effettuare un servizio propagandistico, sia pure con la prospettiva di un facile e notevole guadagno. Posso altresì escludere, per quanto a mia conoscenza, che la Emanuela sia stata intervistata per strada o in altre circostanze da persone che registravano la conversazione”.

12 luglio 1983, (XX giorno)

Il capo della squadra omicidi convoca in Questura Federica Orlandi, la sorella di Emanuela, per farsi ripetere l’ultima volta che aveva sentito al telefono la voce di Emanuela.

       Identikit fornito da Marta Szepeswari

Alle 11,25 presso gli uffici della 5^ Sezione del Reparto Operativo dei Carabinieri di Roma viene sentita Marta Szepeswari, allieva del corso di musica sacra nell’istituto Da Victoria, nata nella capitale dell’Ungheria e residente a Roma. Spontaneamente dichiara che: “Verso le 18,30, appena terminata la prova, sono scesa per le scale per incontrare una compagna di classe a nome R. di anni 18, che doveva venire a casa mia per conoscere la strada per arrivarci. Ho atteso davanti alla scuola par circa 40 o 45 minuti durante l’attesa ho avuto modo di osservare un giovane di apparente età di circa 24-26 anni, distinto, ben vestito capelli castano chiaro, leggermente ondulati e curati, di media statura, il quale fissava l’ingresso della scuola, come se attendesse qualcuno.” Fornisce ai Carabinieri elementi sulla cui base è stato disegnato un identikit del giovane biondo.

 

 Il Messaggero del 12/07/1983

Alle ore 16,30 viene interrogata la compagna di scuola di Emanuela, Carla De Blasio.

Alle ore 21,00 negli uffici della Questura viene sentito Felix, un polacco che gravita nel campo cinematografico come procacciatore di comparse o generici. “Prendo contatti con le case di produzione e chiedo ai capi gruppo se c’è la necessità di persone per girare delle scene; in caso positivo avvio a dette produzioni persone che conosco e che so hanno desiderio o bisogno di lavorare. Tali conoscenze me le procuro anche attraverso approcci diretti con giovani che incontro casualmente per la strada, ovunque mi trovi. Vedo una bella ragazza, un tipo interessante, l’avvicino, mi presento e le faccio la proposta se vuole lavorare nel cinema”. Tale personaggio avvicinò anche Federica Orlandi una settimana o dieci giorni prima della scomparsa di Emanuela e le offrì la somma di centomila lire se avesse fatto parte della troupe di un film che si stava girando a Civitavecchia, Gli ultimi giorni di Pompei.

13 luglio 1983, mercoledì (XXI giorno)

Mario Meneguzzi rilancia sulla stampa la richiesta per delle prove tangibili, perché «la nostra angoscia cresce di ora in ora», e cerca di fugare ogni dubbio sull’educazione, le frequentazioni e i comportamenti di Emanuela. «Emanuela andava a scuola – dichiara – frequentava il corso di musica, era nell’Azione cattolica e tutte le sere rientrava regolarmente a casa per cena. Il padre è un uomo all’antica» aggiungendo, in riferimento ad ambigue frequentazioni in Campo de’ Fiori, «lei stessa mi aveva detto di trovarsi a disagio in quella piazza, in mezzo a tutta quella confusione, e di avere comprato la tessera intera rete degli autobus proprio per dover evitare di attraversare il centro di Roma a piedi: figuriamoci se poteva avere qualche amicizia tra i frequentatori di quella piazza». 

Alle 09,40, negli uffici del Reparto Operativo della 5^ Sezione, viene sentito a processo verbale Rotatori Angelo che dichiara di conoscere Emanuela da circa otto anni in quanto frequentatore del “gruppo” del Vaticano. Dichiara che “… io, con alcuni componenti del nostro gruppo avevo appuntamento con Emanuela al Palazzo di Giustizia, anzi ai giardinetti di Castel S.Angelo, alle ore 19,15 del giorno 22 giugno 1983. Come tutti gli altri ho atteso invano sino alle 19,40 e poi siamo tornati tutti alle rispettive case…” Nel verbale delle Sommarie Informazioni Testimoniali del 9 settembre 2008, davanti alla Dottoressa Giovanna Petrocca, conferma quanto detto e aggiunge che poiché era passata più di mezz’ora dall’appuntamento delle 19,15 con Emanuela, dopo altri dieci minuti di attesa si decise di recarsi a Piazza S. Apollinare per accettarsi se Emanuela si fosse intrattenuta con qualcuno. Dopo aver atteso dieci minuti tornò a Castel S.Angelo e insieme agli altri tornarono a casa.

Esaminando un album fotografico raffigurante 18 personaggi,  con un’alta percentuale di sicurezza, riconosce Marco Sarnataro quello che in quella occasione li seguiva a distanza. Si trattava di persona legato ad ambienti “responsabile di numerosi reati contro il patrimonio e per spaccio e detenzione di sostanze stupefacenti. Inoltre lo stesso era legato a Cassani Angelo, detto Ciletto, elemento di spicco del cosiddetto “gruppo dei Testaccini”, organizzazione criminale che faceva capo ad Abbruciati Danilo e De Pedis Enrico”.

Marco Sarnataro, morto nel 2007, avrebbe raccontato al padre  (che è stato interrogato più volte tra il 2008 e il 2009)  di aver partecipato al sequestro di Emanuela Orlandi insieme a “Ciletto” e  “Gigetto”. Il sequestro sarebbe avvenuto dopo un pedinamento fatto alla ragazza nei giorni antecedenti al rapimento, e l’ordine sarebbe partito da Renatino De Pedis. Successivamente Marco Sarnataro e altre due persone avrebbero caricato Emanuela Orlandi a bordo di una Bmw presso Piazza Risorgimento e successivamente l’avrebbero portata all’Eur. Sarnataro avrebbe poi confidato al padre che De Pedis, per questo lavoro, gli aveva regalato una moto. 

Alle 10,05 viene sentita Maria Grazia Casini la quale dichiara che: ”L’ultima volta che ho visto Emanuela è stato il giorno 22/06/1983 alle ore 19,00 circa, all’uscita della scuola. Preciso che era ferma, insieme ad una sua amica alla fermata dell’autobus nr.70. Questo fatto mi è parso strano, in quanto sapevo che Emanuela non prendeva quell’autobus. Preciso che quando è arrivato il 70 io sono salita, mentre Emanuela e la sua amica sono rimaste ferme dove si trovavano”.

Viene sentita Fabiana Valsecchi, compagna di scuola di Emanuela che dichiara di non vedere più Emanuela da circa un anno. La stessa aggiunge che verso la fine dell’anno scolastico, mentre si trovava nei pressi di Piazza Mazzini, era stata avvicinata da due giovani, a bordo una una autovettura BMW di colore scuro, che le avevano proposto di fare della pubblicità e di guadagnare duecento mila lire. Alla richiesta dei due giovani di dare il numero telefonico di casa, la ragazza si era rifiutata e questi si erano allontanati.

 

Il Messaggero del 13/07/1983

14 luglio 1983, giovedì (XXII giorno)

Poco prima dell’ora di cena, verso le 19,15, arriva una chiamata a casa di una amica quindicenne di Emanuela, Carla De Blasio; uno sconosciuto chiede: «Lei è la madre di Carla?» «», rispose la signora Maria Sgro. «Prenda un foglietto – proseguì l’anonimo interlocutore – devo farle una comunicazione. Non posso dirle chi sono. Emanuela, che sta bene, ci ha dato il suo numero di telefono. Nella piazza di San Pietro, che è vicino alla sua abitazione, in direzione della finestra dell’Angelus, depositiamo un nastro, inviato ai determinati periti che ritenevano un falso il primo documento fonico». Le ricerche furono eseguite in tutte le duecentottantaquattro colonne della piazza, ma non fu trovato alcun nastro. Alla signora Maria fecero sentire la voce dell’Amerikano che però non riconobbe come quella della telefonata avvenuta in casa sua che era “giovanile, calma, senza alcun particolare inflessione. Parlava in corretto italiano”.

Sentita di nuovo il 15 novembre 2008, Carla De Blasio conferma quanto dichiarato il 12/07/1983 e aggiunge che: “… dopo qualche giorno giunse una ennesima telefonata anonima […] in tale circostanza mia madre passò subito la cornetta del telefono a mio zio […] il quale riferì all’anonimo che non avremmo più fatto da tramite pertanto doveva chiamare gli interessati alla vicenda. Per quanto mi risulta di questa telefonata non è stato dato avviso alla Polizia”.

 

A due giorni di distanza, a processo verbale davanti ai Carabinieri, viene sentita Gabriella Giordani la quale ricorda che: “Al rientro [da Ostia] … in via dei Corridori si è accostata una autovettura […] di colore bianco con alla guida due giovani. Quello posto a fianco del guidatore rivolgendosi al compagno e indicando verso di noi ha detto: ECCOLA, poi si sono avvicinati al marciapiede con l’auto e lo stesso giovane ha tirato fuori il braccio alchè Emanuela si è allontanata. I due si sono poi allontanati. Escludo che Emanuela li conoscesse ma questi si erano certamente rivolti solo a lei nonostante noi fossimo tutte insieme”. 

Elvira Muzzi, la mamma di Gabriella Giordani, riferisce che la sera del 9 luglio, verso le 22,00, nel rincasare, aveva notato un giovane che guardava con insistenza le finestre della sua abitazione. Dopo tre giorni e dunque il 12 luglio, era stata urtata da un giovane dalla carnagione scura e qualche ora più tardi lo stesso, dopo averla seguita, tentava di fotografarla. Gli investigatori fanno un identikit dei due uomini ed è incredibile la somiglianza di uno, con quello dell’uomo visto da Marta Szepeswari il giorno della scomparsa di Emanuela.

15 luglio 1983, venerdì (XXIII giorno)

I carabinieri diffondono un comunicato in cui sostengono che dietro la scomparsa c’è la pista della prostituzione minorile. Poi diffusero l’identikit dei due giovani a bordo di una A112 che alcuni giorni prima del 22 giugno avevano avvicinato Emanuela. La polizia restava convinta che chi aveva fatto sparire la ragazza fosse una organizzazione specializzata nella tratta delle bianche. Il magistrato titolare dell’inchiesta, Margherita Gerunda, privilegiava la pista del maniaco sessuale isolato.

Il giorno stesso viene ascoltato Angelo Rotatori il quale offre un’accurata descrizione delle due persone che il 16 giugno avevano seguito Emanuela insieme al gruppo di amici e ne fornisce l’identikit.

Due giornalisti americani della ABC si presentano presso gli uffici dei Carabinieri e riferiscono che nel corso delle interviste giornalistiche effettuate in merito al caso Orlandi, erano venuti a conoscenza che un seminarista che dava lezioni di catechesi ad Emanuela, il giorno in cui è stata trovata la fotocopia con il retro della tessera di iscrizione della ragazza all’istituto di musica e il messaggio scritto a mano e attribuito ad Emanuela “Per Ercole e Maria Orlandi. Cari mamma e papà, non state in pensiero per me, io sto bene”, si trovava all’aeroporto di Fiumicino. Il religioso, successivamente identificato in Ian Wilson, veniva ascoltato il giorno successivo.

 

16 luglio 1983, sabato (XXIV giorno)

I Carabinieri del Reparto Operativo di Roma guidati dal Colonnello Cagnazzo diramano un comunicato: “I carabinieri del Reparto Operativo, nel corso delle indagini relative alla scomparsa di Emanuela Orlandi, sotto la direzione del magistrato Margherita Gerunda, sono riusciti a ricostruire l’identikit di due giovani uomini che potrebbero avere seguito la ragazza nei giorni antecedenti la sua scomparsa. Potrebbe trattarsi di due individui facenti parte di una banda specializzata nel sequestro di giovani ragazze” Il comunicato si conclude con un appello: “Chiunque fosse in grado di fornire notizie o abbia visto i due giovani, telefoni al reparto operativo oppure al 112“.

Viene interrogato Ian Wilson, il seminarista che si trovava all’aeroporto il giorno del ritrovamento del messaggio dei presunti rapitori di Emanuela. Il religioso dell’ordine di S.Agostino, non ancora consacrato sacerdote, svolge lezioni ed incontri di catechesi presso la parrocchia di S.Anna e i ragazzi della Comunità Parrocchiale lo chiamano “GIOVANNI”. Dal corpo del verbale è emerso che il prelato, pur conoscendo bene Emanuela (in quanto sua allieva di un corso di catechesi) questa, a suo dire, non gli aveva mai fatto delle confidenze particolari e dunque di non conoscere affatto la vita sentimentale della ragazza.  Si legge sul Rapporto Giudiziario dei Carabinieri del 18 luglio che “lo stesso dichiara di essere in Italia da circa tre anni e che in occasione di un incontro con i signori A.L. e G.T., in atti indicati, ospiti di una villa sita a Genazzano di Roma di proprietà dell’Ordine di S.Agostino (del quale egli fa parte), si è trovato ad affrontare il discorso di Emanuela ed a metterlo in relazione con quello dell’industriale Palombini (nda sequestrato il 17/04/1981 e trovato morto il 28/10/1981) […] gli anzidetti A.L. e G.T., che, escussi in questi Uffici a s.i.t., hanno escluso categoricamente di aver parlato con il Wilson circa il sequestro Palombini. Questi, inoltre, non disse mai loro di conoscere Emanuela, ma, bensì, di averne conosciuto la sorella in occasione di un corso di catechismo da lui svolto. […] Ha inoltre colpito la forte somiglianza del seminarista  con i foto-fit ricostruiti dalla Szepesvari Marta e Muzzi Elvira”. Era a conoscenza che Natalina si sarebbe sposata a settembre “probabilmente celebrerà le nozze presso la Parrocchia di S.Anna” e che “Emanuela è un amante della musica leggera e a tale proposito ricordo che le piace il cantante  Baglioni”, elementi noti anche all’Amerikano e citati nella telefonata del sette luglio.

 

Il Messaggero del 16/07/1983

17 luglio 1983, domenica (XXV giorno)

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Il Messaggero del 17/07/1983

Il papa, dalla residenza estiva di Castelgandolfo, davanti a 6 mila fedeli, lancia, per la terza domenica consecutiva un appello per Emanuela. “Ancora una volta vi invito a unirvi con me nella preghiera per Emanuela Orlandi sulla cui sorte il passare dei giorni non ha recato purtroppo alcuna schiarita. Con intima partecipazione mi faccio eco della trepidazione dei genitori: non si prolunghi ulteriormente lo sconvolgente dolore di una famiglia che null’altro chiede se non di poterla riabbracciare. Con voi supplico Dio, perché la pace e la gioia possano ritornare in una casa sulla quale da troppi giorni ormai grava una tragedia tanto dolorosa”.

luglio
Testo Angelus 17/07/1983

 

Verso le 19,10 al centralino del quotidiano Il Messaggero giunge una telefonata anonima da parte di un uomo che il centralinista ha registrato: “Liberate il turco altrimenti il 20 uccidiamo Emanuela”.

Verso le 22,35 un uomo dalla voce giovanile e con un italiano perfetto avverte  un giornalista della redazione cronaca dell’Ansa che: “E’ stato lasciato per voi un nastro avvolto in un manifesto lungo la scalinata che va da via della Dataria a piazza del Quirinale, vicino al muro del palazzo. Il nastro che indicammo alla madre di Carla era stato preso presumibilmente da due funzionari del Vaticano e non ne è stato reso noto il contenuto. Questa di stasera è una risposta ai periti che hanno esaminato il primo nastro”. Questa volta il nastro si trova e contiene l’ormai consueta richiesta di scambiare Emanuela con Agca. Nel lungo messaggio dal linguaggio contorto, in un italiano che risulta difficilmente comprensibile, i rapitori spiegano anche che nella cassetta lasciata in Piazza S. Pietro, cioè quella mai trovata, era stata fornita una documentazione con notizie dettagliate su Emanuela.

Trascrizione del nastro denominato “ORLANDI lato A retro“:

Rendiamo noto alla pubblica opinione come gli inquirenti della repubblica italiana adducendo distorsioni economiche la nostra richiesta non riportino la minima conoscenza dei nostri presunti movimenti nel quadro della malavita organizzata italiana dimostrando una anomalia nei confronti della tradizione informativa. questo trova spiegazioni nella nostra estraneità’ ad ogni settore della vita pubblica e non pubblica italiana. La richiesta di prova del lunedì 17 giugno e’ l’ esempio principale dei tentativi di copertura delle nostre reali intenzioni. un marchingegno per posteriormente screditare la prova stessa in quanto e’ risaputo certo superiore ai cinque giorni il periodo di controllo nei confronti della prescelta persona. Regola e circostanza confermata dal pur tardo e allo stato attuale riniego dei investigatori militari. Rileviamo come proseguendo l’ opera di copertura della diplomazia vaticana non concede il beneplacito di menzionare la conferma delle informazioni ricevute sui trascorsi della cittadina Emanuela Orlandi e richiesta testualmente nel corso dell’appello del 9 luglio corrente mese ed inoltre non e’ data giusta lettura volutamente al periodo anteriore alla presentazione della richiesta con l’ attesa dell’ appello precipuo del capo di stato Giovanni Paolo II. il documento allegato al comunicato di piazza San Pietro attesta il nostro disappunto per disinformazione e la mancanza completa di ogni minimo atto di volontà in riferimento alla consegna del detenuto Alì’ M. Agca. La risposta al primo appello non costituiva unicamente nella fotocopia. allegavamo telefonicamente delle informazioni sui trascorsi della ragazza. Informazioni richieste testualmente insieme alla prova del lunedì dai familiari nel corso del primo appello sono i seguenti: la cittadina Emanuela Orlandi ha vissuto un anno della sua infanzia in territorio italiano. La sorella maggiore Natalina usufruiva di occhiali per vista; da un largo periodo ha interrotto l’ uso. Il sacerdote prescelto per celebrare il matrimonio del 10 settembre 1983 e’ un conoscente di famiglia. Con questo ultimo tentativo di disinformazione interrompiamo ogni rapporto diretto che non rientri nell’ ambito della consegna di detenuto Ali’ M. Agca. In osservanza alla imminenza dello scadere del tempo programmato per il bilancio interamente nullo ci troviamo a mutare la considerazione nella giovane eta’ della cittadina Orlandi Emanuela prescrivendo uno stato privo degli elementari diritti di sopravvivenza e deliberiamo di adoperare la nostra ansia di verifica permettendo il riscontro valido fotografico della vita della cittadina Orlandi Emanuela in contraccambio del primo effettivo apporto in direzione della consegna del detenuto Ali’ M. Agca. Potrà essere condotta al suo stato legittimo in contropartita della consegna del detenuto Agca. Auspichiamo ulteriormente risposta ufficiale dalla segreteria vaticana per la predisposizione della linea diretta richiesta. Comunicheremo esclusivamente al segretario di stato cardinale Casaroli  l’iter tecnico da seguire per l’ uscita territoriale di Ali’ M. Agca”. Le dichiarazioni del detenuto Ali’ M. Agca sono irrilevanti per la nostra mancata qualificazione con elementi vicini al detenuto Agca o intenzionati alla sua eliminazione materiale. Chiediamo la consegna di Agca indipendentemente dalla sua presa di posizione pubblica. Rileviamo ennesimo tentativo di screditare in quanto può risultare elementare non ravvisare nell’ atteggiamento del detenuto M. Ali’ Agca ipotizzando un suo accordo e non attendere l’ esito dell’ operazione per dichiararsi e non venire meno nel frangente del fallimento della operazione tesa al possesso della controparte futura derivante dalle sue rivelazioni. Il detenuto Agca è fuori dal vincolo della magistratura italiana. La sua sentenza è inappellabile attendendo due anni la conferma del suo non ricorso in appello siamo pervenuti al meccanismo della grazia. Nella ipotesi di rigetto della sottoscrizione da parte del detenuto Ali’ M. Agca che chiediamo la scarcerazione e la sua consegna e indirizziamo nuovamente al capo di stato Giovanni Paolo II al fine che domandi alla espressione più’ alta dello stato italiano ogni intervento la cui natura si pone esclusivamente sotto l’ egida della considerazione umanitaria e che permetta la restituzione immediata della cittadina Orlandi Emanuela alla vita civile”.

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Chi parla vuole passare per cittadino di lingua turca ma è evidente che simula. Si evince, ad esempio, da come pronuncia in modo alterato e notevolmente marcato alcuni nomi.

Sul lato opposto il nastro contiene una registrazione agghiacciante che dura sette minuti, si sentono urla altissime di una giovane, lamenti e pianti. Il nastro rinvenuto viene immediatamente acquisito e il Sisde stila un documento in cui descrive e ne trascrive i contenuti. Nella relazione si parla di voci maschili ma nell’inciso non vi è traccia. Nel documento si legge che  “Secondo quanto riferito da familiari di Emanuela a Funzionari di Polizia, la voce (prima facciata) di donna corrisponde –con buona probabilità- a quella della giovane scomparsa il 22 giugno” in riferimento ad Emanuela Orlandi. Il documento continua “Dall’ascolto della registrazione si evince che la stessa è stata fatta mentre la ragazza veniva sottoposta a stimolazioni dolorose di intensità variabile e progressivamente crescente (scariche elettriche?)… si è tratta l’impressione che il soggetto passivo, di sesso femminile, sia stato sottoposto a sevizie, presumibilmente di carattere sessuale, da almeno tre persone di seguito. I soggetti attivi, appaiono di nazionalità italiana, e due di loro tradiscono un accento simile ad romanesco. I rumori di fondo presenti nella registrazione potrebbero indicare che le “sevizie” hanno avuto luogo in un ambiente chiuso situato in centro urbano”. Il documento quindi parla della presenza di uomini all’interno della scena ma il nastro non presentava tali voci. La voce femminile che si sente su nastro dice “Oh dio, il sangue, quanto sangue” e si lamenta. Si sentono in sottofondo rumori urbani e la voce respira affannosamente lamentando dolori, urlando e piangendo. Pronuncia le parole “Sto svenendo, sto svenendo” e urla ripetutamente, come se in quel momento il suo corpo fosse sottoposto a continue scariche elettriche. In sottofondo si sente un leggero rumore “zanzaroso” che fa pensare alla diffusione di elettricità sul soggetto passivo. Pronuncia la frase “dovevo darti quel numero di telefono”. Nei punti dove si dovrebbe sentire la voce maschile, riportato nel documento del Sisde, vi è il vuoto, sezione palesemente cancellata. Alla famiglia, gli inquirenti dissero che si trattava di spezzoni tratti da un film porno ma mai nessuno ha indicato il nome del film per comparare le voci.

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Non è stata mai fatta una comparazione con la voce di Mirella Gregori con quella impressa nel nastro.

 

Il SISMI: E’ un organismo del tutto nuovo costituito in forza della legge di riforma dei servizi di sicurezza varata nell’autunno 1977. Il SISMI ha iniziato la propria attività il 30 gennaio 1978 ed è un organismo nuovo, diverso rispetto al SID, che in pari data (30 gennaio 1978) è stato soppresso. Il SISMI è unicamente custode degli atti precedenti ed esistenti a tale data, 30 gennaio 1978. Oggi il SISMI è un organismo militare impegnato sul terreno del contro lo spionaggio estero. La sicurezza interna è affidata al SISDE. Il personale in attività presso il SID è stato drasticamente ridotto attraverso licenziamenti fin dai primi momenti di vita del SISMI. Quanto alle restanti aliquote di personale proveniente dai precedenti organismi di informazione e tuttora in servizio presso il SISMI, il Ministro della difesa ha da mesi impartito la direttiva che il processo di rinnovamento e di adeguamento del personale del SISMI sia portato speditamente avanti, in modo da poter configurare lo stesso SISMI come un organismo che in tutti i suoi aspetti è nuovo e diverso rispetto alle esperienze precedenti.[Lelio Lagorio, Ministro della difesa  19 novembre 1980]

18 luglio 1983, lunedì (XXVI giorno)

A tarda sera, la sala stampa della Santa Sede annuncia di aver installato una linea telefonica diretta. Il numero è 6985 al quale va aggiunto il codice segreto concordato. “Dalle ore 10 alle ore 11 di domani, martedì 19 luglio, risponderà la persona desiderata, in altri momenti sarà in funzione la segreteria telefonica”.

Alle 21,20 i rapitori telefonano all’agenzia Ansa per ricordare che il termine della trattativa è il 20 luglio e per precisare che useranno la linea telefonica riservata presso la segreteria di Stato unicamente per concordare le modalità di rilascio di Agca. “Se entro il 20 luglio Agca non verrà espatriato a farne le spese sarà un’innocente”.

Iniziano le ricerche subacquee nel tratto del Tevere, da Ponte Marconi al Ponte della Magliana, della Fiat 127 che il pescatore Lazzari Carlo dice di aver visto gettare dalla riva destra del fiume.

Il Messaggero del 18/07/1983

19 luglio 1983, martedì (XXVII giorno)

 

                                                                                                                                 Il Messaggero del 19/07/1983

 

Negli ambienti giornalistici si delinea un nuovo, clamoroso scenario: la scomparsa di Emanuela sarebbe in qualche modo connessa alla complessa e sinistra vicenda Roberto Calvi – Banco Ambrosiano – IOR. Emanuela sarebbe finita “in prestito” ad una organizzazione che avrebbe gestito il suo sequestro allo scopo di ricattare il Vaticano. La posta in gioco potrebbe essere una somma di denaro o il possesso di importanti documenti. Gian Franco Svidercoschi, fino a pochi giorni fa «vaticanista» del quotidiano Il Tempo ed ora vicedirettore dell’Osservatore Romano, è il primo ad accostare Emanuela a Roberto Calvi in un articolo non firmato uscito il 19 luglio. «Mettendo insieme — ha scritto Svidercoschi — certi particolari aspetti della regia di questa vicenda, fra il macabro e il fantasioso, sembra si vogliano ripercorrere con sgomento strade, meccanismi mentali, logiche perverse e segnali in codice, che condussero Calvi al ponte dei Frati Neri. Un evento criminoso emergente da una realtà sommersa fatta di banche, cosche, intrighi e giochi di alta finanza. Non ancora esplorati. Difficilmente esplorabili».

 

Stampa Sera del 25/07/1983

Alle 14,25 giunge la prima telefonata sulla linea riservata in Vaticano. La comunicazione si interrompe quasi subito ma i tecnici della SIP riescono comunque a stabilire che la telefonata proveniva dal bar rosticceria di viale Regina Margherita. Nel giro di un’ora (alle 15,00 e alle 15,20) arrivano in vaticano due chiamate ma il cardinale non c’è.

Il contatto tra l’Amerikano e il segretario di stato avviene alle 18,57. L’Amerikano dichiara di essere una “colomba dell’organizzazione” e chiede al Cardinale Casaroli che il messaggio fonico di via della Dataria sia pubblicato integralmente su Il MessaggeroIl Tempo e Paese Sera. Dopo pochi minuti lo sconosciuto richiama ribadendo che “l’organizzazione era molto interessata alla pubblicazione del messaggio, sempre nel quadro della liberazione di Alì Agca”.

Alle 20,15 l’Amerikano chiama l’Ansa per rendere noto il contenuto del colloquio avuto con Casaroli.

Alle 21,20 l’Americano chiama la famiglia Orlandi per assicurarsi che il messaggio di via della Dataria sia pubblicato dai quotidiani.

Monsignor Giovanni Battista Re, assessore alla segreteria di Stato, va a casa Orlandi e porta le copie del messaggio da far pubblicare.

Gli inquirenti accertano che le chiamate dell’Amerikano partivano da una cabina di viale De Nicola, angolo con via Volturno.

 

20 luglio 1983, mercoledì (XXVIII giorno)

I giornali riportano il testo del comunicato.

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Il Messaggero del 20/07/1983

Il settimanale sovietico Literaturnaia Gazeta, pubblicato a Mosca, afferma che Emanuela è stata rapita dai lupi grigi.

In tarda mattinata l’Amerikano telefona a don Ambrogio Fumagalli, priore della comunità Benedettina della chiesa di Santa Francesca Romana al Palatino e sotto dettatura gli fa scrivere: “il governo della repubblica italiana, con il placito dello Stato Vaticano, intende non venir meno al possesso di uno strumento di propaganda quale il detenuto Alì Agca è stato trasformato dallo stato di isolamento e dalla promessa di agevolazioni. Pervenendo alla soppressione del 20 luglio, non perdiamo la speranza nella volontà di quanti possono adoperare un ultimo gesto risolutore. Ringrazio”. Il testo del messaggio venne recapitato all’Ansa.

Ad Orvieto viene interrogato Alberto Laurenti. Lo stesso dichiara che non frequenta più l’istituto di musica dal 18 maggio 1983 in quanto militare di leva presso la cittadina Umbra.

Verso le 12.00 un portavoce dei rapitori telefona all’Ansa dicendo che il testo del messaggio doveva essere stato recapitato il giorno precedente ma per “motivi tecnici” non era stato trasmesso e conferma la scadenza dell’ultimatum alle ore 24 della stessa giornata.

Il papa, al termine dell’udienza pubblica, davanti a 35 mila fedeli, inaspettatamente dice: “Vi invito a pregare per questa ragazza, Emanuela Orlandi, e per i suoi familiari che sono tanto provati”. Poi un’Ave Maria in latino. E’ la quarta volta che il pontefice fa esplicito riferimento al rapimento di Emanuela.

Poco dopo in questura, il sostituto procuratore Margherita Gerunda, il capitano Mauro Obinu del Reparto operativo dei Carabinieri e Luigi De Sena, capo della squadra mobile si riuniscono per un vertice e decidono di affidare ad un tecnico della RAI una perizia fonica su tutte le telefonate relative al rapimento della Orlandi.

Testo Udienza pubblica del 20/07/1983

21 luglio 1983, giovedì (XXIX giorno)

Due lettere identiche arrivano all’Ansa e al Messaggero provenienti da Francoforte, scritte in tedesco e con timbro postale del 17 luglio. Non firmate. “Avvertiamo nuovamente le autorità italiane e il Vaticano. Liberate immediatamente Mehmet Alì Agca, Serdar Celebi e gli altri nostri amici! In caso contrario seguiranno altre azioni punitive come con Emanuela Orlandi! Anche voi siete raggiungibili”.

Il Messaggero del 21/07/1983

La sala stampa del vaticano emana un comunicato (documento visibile con la data del giorno precedente, solo in lingua portoghese, negli atti vaticani relativi ai discorsi delle udienze generali) “E’ ancora viva in tutti la speranza che, nonostante sia scaduto il termine del 20 luglio fissato da coloro che hanno nelle  loro mani Emanuela Orlandi, la voce della coscienza e gli appelli a essi rivolti particolarmente dall’angosciata famiglia e dal papa, li abbiamo trattenuti dal dare esecuzione al proposito omicida da loro manifestato. Condividendo con profonda partecipazione le indicibili angosce dei genitori e dei familiari, il santo padre rivolge un accorato, pressante appello ai responsabili della sorte della giovanetta perché si inducano finalmente a restituirla incolume all’affetto dei suoi cari senza porre condizioni che essi stessi conoscono essere inattuabili. Il santo padre, in nome di Dio e dell’umanità, supplica i responsabili di aver pietà di una giovane vita, completamente estranea alla questione a cui essi si dichiarano interessati, e di una famiglia già troppo provata dal dolore di questi terribili giorni. Questo il papa insistentemente domanda insieme con tanti uomini rimasti quasi increduli di fronte all’atrocità di questa vicenda e, in particolare, insieme con i genitori, questo vuole fiduciosamente attendere, per questo egli prega e invita tutti a unirsi alla sua preghiera”. 

Per il tramite dell’Ufficio Centrale per le Investigazioni Generali e per le Operazioni Speciali (UCIGOS), il SISDE invia alla Questura di Roma le copie fotostatiche del diario di Emanuela. La Questura le ritrasmette in Procura a Margherita Gerunda.

Una pagina del diario di Emanuela

Alle ore 14,25 negli uffici della Squadra Mobile di Roma viene ascoltato il pescatore Lazzari Carlo che conferma “… quanto già dichiarato nel verbale di denunzia reso il 23 giugno scorso […] circa l’autovettura Fiat 127 che ho visto gettare nel Tevere il 23 giugno detto” e precisa che “ieri sera […] sono stato avvicinato, anzi afferrato ad un braccio da due giovani uno dei quali mi ha detto testualmente:  a morè ce tieni a campà…quello che hai visto hai visto, quello che hai inteso hai inteso, fatti l’affari tua, perché stavolta t’è ita bene, però se continui co sto fatto a non fatte l’affari tua hai finito de campà. Omo avvisato è mezzo salvato . Tanto sapemo anche dove lavori, regolate”. […] Sono sicuro che “l’avvertimento” dei due si riferisse alla vicenda della nota 127 buttata nel Tevere, perché, da allora, non mi è successo altro”.

22 luglio 1983, venerdì (XXX giorno)

Nell’edizione delle 13,30 del TG1, Mario Meneguzzi annuncia “Noi, la famiglia di Emanuela Orlandi, informiamo la persona, le persone o il gruppo che detengono Emanuela che da questo momento tutte le comunicazioni dovranno essere fatte all’avvocato Gennaro Egidio, telefono 06 3603807, P.O. Box 6258 – Roma. Il detto avvocato è per nostra scelta il solo rappresentante autorizzato per tutte le questioni connesse con la scomparsa di Emanuela” ma  precisa che questa iniziativa non esclude la linea riservata aperta del Vaticano.

L’avvocato Gennaro Egidio, 56 anni, fa parte di uno studio legale internazionale. Si è occupato, tra l’altro, della misteriosa vicenda della baronessa Jeannette May Rothschild e Gabriella Guerin, scomparse nel 1980 sui monti vicino a Camerino e trovate morte due anni dopo. 

luglio
La baronessa Jeannette May Rothschild e Gabriella Guerin

Ercole Orlandi dichiarerà: “Furono alcuni agenti del SISDE  a consigliarci di rivolgerci ad un avvocato, ci dissero che non potevamo stare tutto il giorno in casa ad aspettare le telefonate dei rapitori di Emanuela e che ci serviva un avvocato a cui indirizzare le telefonate, così in casa potevamo avere un po’ di tranquillità. Io però non conoscevo nessuno. Fu un agente del SISDE ad indicarci Egidio. Si faceva chiamare Leone ma poi venni a sapere che il suo vero nome era Gianfranco Garamendola. A me e a mio cognato ci consigliò Egidio perché era molto bravo, aveva risolto un sacco di casi. “E’ proprio l’uomo mandato da Dio”, disse, quando in vaticano diremo che ci siamo rivolti a lui: saranno contenti perché è persona conosciuta e gradita. Poi non avremmo dovuto pagare niente. Ci sottopose delle carte, una specie di contratto da firmare ed effettivamente la parte economica era completamente cancellata. Ci assistesse per la gloria, perché il caso di Emanuela aveva una tale risonanza che se lui fosse riuscito a risolverlo… Infatti ci ripeteva di non preoccuparci perché è una storia talmente ingarbugliata… e che l’aveva già presa a cuore, è come se Emanuela fosse sua figlia. In vaticano però mi chiesero come fosse uscito fuori questo avvocato in quanto nessuno lo conosceva. Anni dopo Adele Rando, il magistrato che seguiva le indagini sulla scomparsa di mia figlia, mi chiese del perché ci fossimo rivolti proprio ad Egidio ed io risposi che fu Garamendola, dei servizi segreti a consigliarcelo. Poi venni a sapere che Garamendola, davanti alla Rando, aveva negato di avermi dato quel consiglio. Non ho mai capito perché il magistrato non abbia ritenuto utile un confronto diretto tra me e lui su quella questione. Anzi tra me, mio cognato e lui. ”

Nel pomeriggio l’Amerikano telefona al Messaggero: “Porteremo avanti le nostre richieste al di là della parentesi Orlandi”. Poi conferma che le lettere giunte il giorno prima da Francoforte sono autentiche.

Qualche ora dopo telefona all’Ansa: “Porteremo avanti le nostre richieste al di là della parentesi Orlandi. Dovremo pur sempre adoperare gli organi di stampa per comunicare all’opinione pubblica. Ma cambia la natura dei rapporti. Considereremo gli organi di stampa un elemento avverso per le inesattezze e le disinformazioni compiute”. Quindi si lamenta per come l’agenzia giornalistica abbia aiutato la polizia nel tentativo di intercettare le sue telefonate e passa alle minacce più esplicite “Aprite bene le orecchie, poliziotti. Non cercate mai di fermare un nostro portavoce. Noi non siamo mai soli. Evitiamo un inutile spargimento di sangue. Con noi è sempre presente una scorta armata. Non venite mai. Neppure con una, due o tre pattuglie. Sarebbe uno scontro a fuoco inutile. Quindi controllare le nostre telefonate è assolutamente inutile. I due cronisti dell’Ansa che sono andati in piazza del Parlamento e alla scala del Quirinale a prendere i nostri messaggi sono stati identificati. Farebbero bene a stare attenti alla loro  incolumità”.

Viene ascoltata nuovamente Maria Grazia Casini che conferma la presenza di Emanuela e dell’altra ragazza specificando, stavolta, che era una compagna della scuola di musica che lei conosceva solo di vista. A seguito della descrizione, Suor Dolores è riuscita a identificarla.

Margherita Gerunda, a cui era affidata l’inchiesta, passa la mano a Domenico Sica. Sica è il magistrato che segue le più importanti inchieste italiane, sugli attentati terroristici (caso Aldo Moro in testa), sulla P2, sulle frodi finanziarie, le intercettazioni telefoniche. Ha sempre avuto in mano i casi più delicati e scottanti, tanto da meritarsi soprannomi come Nembo SicAcchiappainchieste o Assopigliatutto. Folta barba brizzolata, sposato, padre di due figlie, Sica (la madre, argentina, è cugina di Ernesto Che Guevara) arrivò alla Procura di Roma nel 1964, poco più che trentenne, dopo aver trascorso due anni di apprendistato presso l’ Avvocatura dello Stato e altri due anni di lavoro passati alla pretura di Vasto. La sua prima importante inchiesta fu lo scandalo del Number One, il noto locale romano frequentato dai vip dell’ alta finanza, della politica e della nobiltà, che fu inquisito per una questione di droga. Subito dopo indagò nel mondo delle spie, interessandosi di intercettazioni telefoniche, una vicenda che ebbe come principale protagonista il famoso detective privato Tom Ponzi. Incominciò, poi, a interessarsi anche di questioni terroristiche a partire dall’ inchiesta sul rogo di Primavalle, dove due giovani missini furono bruciati vivi mentre dormivano nella loro abitazione. I responsabili furono individuati da Sica negli ambienti extraparlamentari della sinistra. Dal 1975 non c’ è stata indagine delicata che non gli sia stata affidata, a partire da quella sui clan dei marsigliesi, per arrivare ai sequestri di persona e, in seguito, alle Brigate rosse. Sue le indagini sulla strage di via Fani e l’ assassinio del presidente della Dc Aldo Moro. Ha dovuto indagare anche sull’ assassinio di due suoi carissimi amici, il giudice Girolamo Minervini e il colonnello Antonio Varisco, entrambi uccisi dai brigatisti rossi. Dal ‘ 79 all’ 81 ebbe tra le mani due grossi casi come l’ inchiesta sull’ omicidio del direttore del settimanale politico OP Mino Pecorelli e lo scandalo della P2. In seguito indagò sulla scomparsa dell’ Imam sciita Moussa Sadr e sull’ attentato a piazza S.Pietro contro papa Giovanni Paolo II per mano del turco Alì Agca.

Il Messaggero del 22/07/1983

23 luglio 1983, sabato (XXXI giorno)

Vengono proposte le sospensioni per la ricerca della Fiat 127 nel tratto Ponte Marconi – Ponte della Magliana perché: “Nei sei giorni in cui si sono protratte le operazioni subacquee sono stati controllati numerosissimi appigli senza che mai si sia rinvenuta traccia dell’autovettura cercata. Ciò premesso, con affidabilità del 70%, si può escludere la presenza in quel tratto di fiume di un’autovettura precipitata in giorni relativamente recenti. In considerazione dei risultati negativi fin qui conseguiti, […] si propone l’interruzione delle operazioni subacquee”.

L’Osservatore Romano del 23/07/1983

 

24 luglio 1983, domenica (XXXII giorno)

All’Angelus domenicale il Papa lancia un nuovo appello per la liberazione di Emanuela (non vi è traccia nella documentazione online del vaticano).

Il Gabinetto Regionale della Polizia Scientifica della Questura di Roma si reca “… sul greto della riva destra del fiume Tevere, all’altezza di via Pian due Torri (Magliana), per effettuare rilievi fotografici in merito a tracce di erba secca calpestata” a seguito della denuncia del 23 luglio 1983 del pescatore di anguille Lazzeri Carlo.

 

Il Messaggero del 25/07/1983

25 luglio 1983, lunedì (XXXIII giorno)

Alle 10,55 presso la redazione de “Il Giornale d’Italia” giunge una telefonata da parte di un anonimo che in lingua italiana e senza nessuna inflessione dice: “Se entro mezzanotte di domenica 31 luglio Mehemet Alì Agca e Sedar Celebi non saranno liberati Emanuela Orlandi sarà eliminata. Dopo questa azione seguiranno quella prossima in cui tenteremo di nuovo assassinare Giovanni Paolo II. Questo nostro comunicato deve essere annunciato nel corso del TG1 ore 20,00 e dei mass media tra cui il vostro quotidiano pena torture Emanuela Orlandi. Seguiranno altri comunicati.

La Stampa del 25/07/1983

La Stampa ricorda che l’avvocato Gennaro Egidio, esperto in questioni finanziarie e in diritto internazionale, è stato consulente allo IOR alla Milton Court di Londra per il crac del Banco Ambrosiano di Roberto Calvi, sulla scomparsa del quale aveva indagato il magistrato Domenico Sica, attualmente titolare dell’inchiesta sul caso di Emanuela Orlandi. L’avvocato Egidio, nel secondo processo per la morte di Calvi, davanti alla corte inglese è affiancato dallo studio londinese Fox e Gibbons e dall’avvocato Jeremy Key (consigliere della regina) ha assistito Ugo Flavoni, l’antiquario romano in stretti rapporti con l’imprenditore sardo Flavio Carboni che, nel giugno 1982, accompagnò Roberto Calvi nel suo viaggio senza ritorno a Londra.

Segnalazione del cadavere di Emanuela in una discarica nei pressi di Fiumicino (RM), in una Fiat Ritmo parcheggiata vicino alla stazione Termini e in altre zone della capitale. Minacce di inviare parti mutilate del corpo di Emanuela.

La famiglia Orlandi, per voce dello zio di Emanuela Mario Meneguzzi, ha reso noto un messaggio indirizzato ai rapitori. «Noi, la famiglia di Emanuela Orlandi indirizziamo questo preciso messaggio ai due interlocutori che affermano di essere portavoce di coloro che detengono Emanuela Orlandi. Intendiamo riferirci a: 1) colui che richiese “una linea diretta”; 2) colui che telefonò a noi il giorno 22 luglio alle ore 20,30 circa formulando specifiche richieste documentali. Uno di voi due mente. Chi di voi due realmente detiene Emanuela lo provi concretamente al solo nostro rappresentante autorizzato con pieni poteri per tutte le questioni connesse con la scomparsa di Emanuela: l’avvocato Gennaro Egidio, tel. 06/3603807, casella postale 6258. Noi, la famiglia Orlandi non risponderemo più al telefono. Abbiamo preso questa decisione  per liberarci dell’incubo delle telefonate, soprattutto degli sciacalli. Continuiamo a chiedere prove concrete ai rapitori, anche se non ce le forniscono. Quello che posso dire è che secondo me non esiste una trattativa, anche se le nostre speranze non si spegneranno fino al giorno che Emanuela non sarà tornata a casa».

Entro la fine di luglio è previsto il termine della raccolta del materiale sulla cui base, fra agosto e settembre, la commissione italo-vaticana incaricata dovrebbe redigere la relazione finale sulla consistenza dell’esposizione finanziaria dello IOR nell’ambito della vicenda del Banco Ambrosiano.

26 luglio 1983, martedì (XXXIV giorno)

Il quotidiano della Santa Sede, L’Osservatore Romano, chiama a raccolta i 406 cittadini vaticani per il giorno successivo, ricorrenza di S.Anna alla quale è dedicata la parrocchia che sorge all’interno delle mura vaticane, vicino all’abitazione degli Orlandi. Scrive il quotidiano “Tutti i fedeli della Città del Vaticano sono invitati numerosi a pregare sant’Anna che supplicheremo anche per la bambina scomparsa Emanuela Orlandi”.

luglio
Il Messaggero del 26/07/1983

L’avvocato Egidio sceglie un approccio aggressivo e fa pervenire il seguente testo: “Messaggio a persona/persone o gruppo che detengono Emanuela Orlandi. Ribadisco quanto affermato dai miei clienti, uno di voi due mente […] io aggiungo che 1) avete inteso e tentato di screditare, minacciare e imporre condizioni per fini subdoli e vi siete screditati. 2) avete inteso dimostrare capacità, organizzazione, abilità ma i fatti dimostrano il vostro basso livello d’intelligenza. 3) i vostri messaggi, vedi quello del 17/7/1983, ne sono l’evidente dimostrazione. 4) agli occhi di tutti, voi apparite dei codardi perché il livello del vostro coraggio è dimostrato dal vostro atto: il rapimento di una ragazzina di 15 anni. 5)voi volete far credere all’opinione pubblica mondiale di avere una ideologia politica avanzando assurde richieste per camuffare il vostro intendimento di giungere forse a volgari richieste di denaro. 6) non avete neanche la capacità di smentire quello che tra voi due mente e a provare a me rapidamente chi di voi due detiene Emanuela e non la sua borsa soltanto! Se voi sarete così codardi da non farvi avanti entro 48 ore il vostro silenzio sarà prova evidente per tutti, intendo tutti, che il vostro è stato un bluff, che siete ora completamente disorientati e siete sconfessati”.

Un anonimo telefona al settimanale Famiglia Cristiana: “Se entro il 31 luglio 1983 non libererete Alì Agca, uccideremo Emanuela Orlandi. Siamo i rapitori di Emanuela Orlandi. Uccideremo Giovanni Paolo II. Se abbiamo fallito il 13.5.1981 questa volta non falliremo. Casaroli-Giovanni Paolo II è un  sovversivo al servizio della CIA… Giovanni Paolo II fomentare Polonia. Pubblicate questa notizia su vostra rivista per il bene di Emanuela Orlandi. Se non lo farete attenteremo anche famiglia cristiana. Salam.

 

27 luglio 1983, mercoledì (XXXV giorno)

Dalle sei del mattino fino a mezzogiorno viene celebrata una serie ininterrotta di messe. I genitori di Emanuela sono presenti alla messa delle sei. Monsignor Pietro Canisio Van Lierde, agostiniano, vicario generale del papa per la Città del Vaticano, durante la funzione delle undici dice: “Emanuela è una di noi. E’ cresciuta in mezzo a noi e ora l’hanno rubata. Ho ritrovato con commozione il cartoncino di auguri che Emanuela mi ha mandato in occasione del Santo Natale dell’anno passato. Ci hanno tolto Emanuela. Hanno rubato un’innocente. Hanno rubato una vita coniugale e matrimoniale, una vita familiare e casalinga, una convivenza domestica. Con crudeltà è ferito il cuore di un padre e di una madre, è lesa la serenità di un focolare buono, fecondo, gentile. Il nostro primo dovere qui, nella casa di Dio, davanti al tabernacolo del Dio vivente è l’esercizio costante della nostra fede in Dio, pure nell’apprezzamento di ogni legittimo mezzo umano. In ginocchio per adorare Dio, le mani giunte in preghiera, gli occhi rivolti al Signore diciamo pregando: Dio onnipotente e misericordioso tu che sei potente sopra ogni male ridona Emanuela ai suoi genitori, ridona Emanuela a suo fratello e alle sue sorelle, ridona, o Dio onnipotente, Emanuela alla piccola chiesa della Città del Vaticano. Così sia”. Dopo la messa, monsignor Van Lierde pronuncia ai cronisti di colpevoli e di innocenti, allude a un nodo di potere oscuro e crudele che dà punizioni e ammonimenti servendosi dell’innocente, Emanuela.

Gli inquirenti sono ormai persuasi che la sorte di Emanuela si stia giocando all’interno delle mura vaticane e non danno peso a nuove segnalazioni e rivendicazioni che ritengono poco credibili. E’ il caso dei messaggi telefonici pervenuti alla redazione di Famiglia Cristiana o del Giornale d’Italia, o della segnalazione del cadavere di Emanuela nella pineta di San Liberatore, sulle colline di Terni.

luglio
Adolfo Pérez Esquivel

Intanto a Buenos Aires, l’argentino Adolfo Perez Esquivel, premio Nobel per la pace nel 1980, interviene sulla vicenda di Emanuela Orlandi con una lettera al nunzio apostolico a Buenos Aires monsignor Ubaldo Calabresi, esprimendo la sua solidarietà per la sofferenza da cui è colpita la famiglia della giovane e l’auspicio che i sequestratori la liberano immediatamente.

Nel bollettino di informazione Notiziario, i lavoratori laici della Santa Sede precisano che Ercole, il padre di Emanuela, è un semplice usciere e non un importante funzionario vaticano né, tantomeno, un agente dei servizi segreti vaticani, come riportato da alcuni quotidiani.

Lo zio di Emanuela mentre lascia gli uffici del palazzo di Giustizia, dopo un colloquio con il giudice Domenico Sica afferma che “ sono stato io a nominare l’avvocato Egidio perché lo ritengo più adatto a questo tipo genere di cose del mio legale abituale, l’avvocato Adolfo Gatti”.

Nella sede del Corriere della Sera di Milano un anonima dall’accento straniero detta questo testo: “Per Emanuela ultima voce Vaticano dice: molto terrorizzata perché forse paura restare incinta. Due cose possibili: ricoverata convento segreto o Emanuela finita per sempre. Ordine Cardinale Casaroli.”

All’udienza generale del mercoledì il papa rivolge il suo settimo appello per la liberazione di Emanuela “Ancora un’Ave Maria per la scomparsa della ragazza del vaticano rapita, Emanuela Orlandi”.

Il Messaggero del 27/07/1983

28 luglio 1983, giovedì (XXXVI giorno)

Vengono avviati una serie di controlli anagrafici sulla famiglia Orlandi. Negli uffici dell’anagrafe di Roma risulta il certificato di Emanuela che attesta che la ragazza dal giorno della nascita, 14 gennaio 1968, è stata residente a via Nicolò V dove abitano gli zii di Emanuela e la madre di Emanuela con i cinque figli fino al 1973. In quella data è stato fatto il “soggiorno” in Vaticano e dal 31 ottobre 1981 la Signora Maria Pezzano e i figli sono diventati cittadini vaticani a tutti gli effetti. Il mancato aggiornamento della banca dati del Comune di Roma e una disfunzione degli uffici vaticani hanno creato l’equivoco.

Scheda anagrafica di Emanuela Orlandi

L’avvocato della famiglia Orlandi, Gennaro Egidio fa pervenire questo documento:

29 luglio 1983, venerdì (XXXVII giorno)

La Bundes Kriminal amt di Wiesbaden, con lettera Kt 42-1055/83 TE 12, del 29 luglio 1983 scrive al Ministero dell’Interno Italiano un appunto analizzando le lettere arrivate da Francoforte e rileva: “Il testo delle lettere, identiche fra esse, sono scritte senza errori di ortografia. Nella dizione e nella forma grammaticale si denota nell’uso del linguaggio una deviazione dal tedesco puro. La prima e quarta frase sono senza errori. La seconda frase presenta una deviazione grammaticale: “die anderen unseren Freunde” (i nostri altri amici) La suddetta forma non è comune, mentre sarebbe stata corretta la seguente forma: “unsere anderei Freunde” (altri nostri amici) Nella frase viene usata la parola “gegenfall” (altrimenti) che nella lingua tedesca non viene utilizzata”.

Per la terza volta viene sentita Maria Grazia Casini che descrive la ragazza in compagnia di Emanuela:”… questa ragazza ha circa 15 anni, poco più bassa di Emanuela, con i capelli corti, riccia e di colore nero. Mi ricordo perfettamente che Emanuela aveva un comportamento tipico di chi è impaziente, in attesa dell’arrivo o di una persona o di un mezzo pubblico. Posso affermare questo perché quando salutai Emanuela quest’ultima mi ha risposto distrattamente”.

30 luglio 1983, sabato (XXXVIII giorno)

Nei locali della DIGOS della Questura di Roma, alle ore 13.00 il Signor FDL, factotum nell’Istituto Ludovico da Victoria dichiara che “… il 22 giugno sono andato alla scuola di Piazza S. Apollinare regolarmente alle 15.00 […] alle ore 18.00 sono sceso nella portineria per cambiarmi d’abito in quanto ricorrendo le nozze d’argento mie e di mia moglie avevamo stabilito di celebrare nella cappella della scuola una messa cui hanno preso parte Suor Dolores, il maestro Don Valentino Miserax (nda Miserachs), la signora Luigina custode dell’intero edificio  […] a causa della messa […] il canto corale quella sera è terminato alle 18,50.

Testimonianza confermata dalla moglie di FDL che dichiarerà “…mia figlia P. ha assistito fino alle 18:45 alle prove del coro e poi è scesa con il fratello. Dopo la messa c’è stato un piccolo rinfresco nella scuola…”.

Il settimanale Il Sabato legato a Comunione e Liberazione ipotizza che il sequestro di Emanuela potrebbe rappresentare il “tentativo di assassinare moralmente il papa dopo il tentativo di eliminarlo fisicamente”.

In serata, un anonimo telefona al Pontificio istituto Propaganda Fide di Castelgandolfo dicendo che la ragazzina stava per essere portata presso il lago della cittadina dei castelli romani.

31 luglio 1983, domenica (XXXIX giorno)

Il quotidiano Il Tempo si occupa di Mirella Gregori. Il giornale rileva che il 10 giugno, cioè quasi due settimane prima della scomparsa di Emanuela, per ritrovare la figlia, i Gregori, avevano sollecitato un intervento del papa. Quindi si erano rivolti al presidente della Repubblica Sandro Pertini che, il 29 giugno aveva risposto loro con una lettera in cui rassicurava il suo pieno interessamento alla vicenda.

Per la prima volta dopo cinque domeniche, il papa all’Angelus, non accenna al caso.

 

Elenco telefonate ritenute attendibili dagli investigatori:

 

25/06/1983 ORE 18.00 TELEFONATA PERVENUTA A CASA ORLANDI:

Un giovane, che dice di chiamarsi Pierluigi e che parla un italiano corretto, senza inflessioni dialettali, riferisce di aver appreso che la sua ragazza aveva incontrato nella zona di Campo dei Fiori due giovani, una delle quali vendeva gonnelline e prodotti Avon e portava un flauto sotto braccio. Il Pierluigi forniva di questa ragazza, che si sarebbe chiamata Barbara, alcuni particolari che fanno pensare ai parenti di Emanuela Orlandi trattarsi della propria congiunta.

26/06/1983 ORE 20.00 TELEFONATA PERVENUTA A CASA ORLANDI:

Il Pierluigi fornisce altri particolari sulla sedicente Barbara.

27/06/1983 TELEFONATA PERVENUTA A CASA ORLANDI:

Un giovane, che dice di chiamarsi Mario, di avere 35 anni e che parla italiano con accento chiaramente romanesco, si prodiga a proclamare l’estraneità della vicenda di un suo amico che lavorerebbe per l’Avon, affermando che questi si avvale della collaborazione di due ragazze, una inglese ed una veneta a nome Barbara. Di quest’ultima il predetto dice che a settembre dovrebbe fare rientro in famiglia, perché si dovrebbe sposare un parente.

05/07/1983 ORE 12,50 TELEFONATA PERVENUTA IN SALA STAMPA DELLA CITTÀ DEL VATICANO:

Un individuo di lingua inglese chiede l’intervento del Pontefice per la liberazione di Alì Agca da eseguirsi entro il giorno 20 luglio 1983. L’interlocutore fornisce il codice per i rapporti (158) ed afferma di avere in ostaggio Emanuela Orlandi. Dichiara che ulteriori elementi di prova sono a conoscenza del cittadino Orlandi Ercole attraverso le informazioni di nostri elementi aventi nomi Pierluigi Mario.

05/07/1983 ORE 14,00 DUE TELEFONATE PERVENUTE A CASA ORLANDI:

Un uomo, dall’accento spiccatamente straniero, fa sentire ai familiari di Emanuela la registrazione della voce della ragazza e dice che avrebbe fornito ulteriori notizie attraverso funzionari dello Stato Vaticano.

06/07/1983 ORE 16,30 TELEFONATA PERVENUTA ALL’ANSA:

Un individuo che parla con voce giovanile, incerta, senza inflessioni dialettali, riferisce di appartenere ad un imprecisato gruppo che con il sequestro della ragazza si propone di ottenere la liberazione di Alì Agca. Su indicazioni del predetto, i redattori dell’Ansa rinvengono in un cestino per i rifiuti di piazza del parlamento, una busta di colore giallo contenente, in unico foglio, una fotocopia riproducente la tessera di iscrizione alla scuola di musica, una ricevuta di versamento e poche parole di saluto scritte di pugno da Emanuela ed il suo numero di telefono.

07/07/1983 ORE 16,15TELEFONATA PERVENUTA A CASA ORLANDI:

Un individuo, con accento straniero, chiede se qualcuno in casa parla inglese o francese.

08/07/1983 ORE 16,00 TELEFONATA PERVENUTA A CASA DI CASAGRANDE LAURA (COMPAGNA DI SCUOLA DI EMANUELA):

Un individuo, che parlava in corretto italiano ma con accento mediorientale (diverso dalla persona che aveva telefonato a casa Orlandi) ha dettato un messaggio chiedendo poi di recapitarlo all’Ansa. Nel messaggio lo sconosciuto, dopo essersi preoccupato di fornire assicurazione sul buono stato di salute della ragazza, nel ribadire di non appartenere ad organizzazioni rivoluzionarie terroristiche, ha dichiarato di avere interesse alla liberazione di Alì Agca, senza peraltro specificare i motivi, ed ha preannunciato la redazione di un documento che sarebbe stato inviato alla Segreteria di Stato Vaticano. Lo sconosciuto dopo aver affermato che il termine della trattativa scadrà il 20/07/1983, ha sollecitato la Segreteria Vaticana alla predisposizione di una linea telefonica diretta con il Cardinale Agostino Casaroli.

08/07/1983 ORE 18,15 TELEFONATA PERVENUTA ALL’ANSA:

Un individuo con accento straniero, dopo aver chiesto se era pervenuto il messaggio ha dichiarato che questo era la prova della ottima salute della ragazza e ha confermato la richiesta della liberazione di Alì Agca.

08/07/1983 ORE 19,00TELEFONATA PERVENUTA ALL’ANSA:

Lo straniero di cui sopra, scusandosi per l’interruzione, ha riferito che la chiave della trattativa non era costituita da una sigla e ha aggiunto che Agca, una volta liberato, sarebbe dovuto andare a Brandeburgo e che lui avrebbe capito. Lo sconosciuto ha fatto presente che Agca non era sotto processo, che la sentenza era definitiva e che il Papa poteva chiedere la grazia al Presidente della Repubblica.

10/07/1983 ORE 16,00TELEFONATA PERVENUTA A CASA ORLANDI:

Il solito individuo con accento straniero ha fornito alcuni particolari della vita di Emanuela senza però alcuna prova dell’esistenza in vita della stessa.

10/07/1983 ORE 19,45-20,40-22,35TRETELEFONATE PERVENUTA AL QUOTIDIANO PAESE SERA:

Un individuo con accento straniero ha confermato la richiesta della liberazione di Alì Agca entro il termine del 20/07/1983 e ha dichiarato di avere fornito ai familiari delle informazioni sulla vita della ragazza. Su indicazioni del predetto un redattore del quotidiano ha rinvenuto nella Cappella dell’aeroporto Leonardo da Vinci la fotocopia della tessera di iscrizione alla scuola di musica, nonché di uno scritto verosimilmente di pugno della Emanuela Orlandi “per Ercole e Maria Orlandi – Cari mamma e papà non state in pensiero per me io sto bene”.

14/07/1983 ORE 19,30 TELEFONATA PERVENUTA ALLA FAMIGLIA DE BLASIO […] LA CUI FIGLIA CARLA, QUINDICENNE, È AMICA DI EMANUELA ORLANDI:

Lo sconosciuto, in assenza della ragazza, ha dettato alla madre, signora Sgro Maria […] il seguente messaggio: “nella piazza di S.Pietro, in direzione della finestra dell’Angelus, depositiamo un nastro, inviato ai determinati periti che ritenevano un falso il primo documento fonico”. L’ignoto interlocutore.

17/07/1983 ORE 22,35 TELEFONATA PERVENUTA ALL’ANSA:

Uno sconosciuto che parlava in perfetto italiano ha riferito al cronista che una cassetta avvolta in un manifesto era stata da lui lasciata sulla via della Dataria e che il nastro era una risposta ai periti. Ha aggiunto che il nastro che era stato lasciato in Piazza S.Pietro era stato preso da due funzionari del Vaticano e che il contenuto non era stato reso noto. In via della Dataria è stato rinvenuto una cassetta registrata su una facciata della quale uno dei rapitori, in lingua italiana, ma con un marcato accento straniero, conferma quanto già in precedenza comunicato e ribadisce la richiesta di scambio con il detenuto Alì Agca nonché il contatto diretto con il Segretario di Stato Monsignor Casaroli. Sulla seconda facciata sono riportati i lamenti di una donna che lo zio della Orlandi ha riconosciuto, con buona probabilità, per la nipote.

18/07/1983 ORE 21,20 TELEFONATA PERVENUTA ALL’ANSA:

Uno sconosciuto, che si esprimeva con voce giovanile ed in perfetto italiano, ha ribadito che l’ultimatum sarebbe scaduto improrogabilmente il 20 luglio e che la linea telefonica appositamente attivata con il Vaticano serviva solo per definire l’uscita di Alì Agca dal territorio italiano. Continuava col dire di tenere presente le loro richieste e le loro azioni, altrimenti ne sarebbe andata di mezzo un innocente. Lo sconosciuto, a precisa domanda, ha riferito che Emanuela è viva e ha concluso dicendo di essere ben informati sui movimenti dei cronisti allorquando prelevano i loro messaggi. A dimostrazione di questo ha dichiarato che il messaggio lasciato in Piazza del Parlamento il 6 luglio è stato prelevato da un uomo di circa 50 anni, con pipa in bocca, il quale prima di allontanarsi ha occultato la busta sotto la camicia. E’ da ritenere che la telefonata sia “autentica” in quanto la voce è risultata essere la stessa del messaggio della sera precedente che consentì, com’è noto, il rinvenimento della cassetta con inciso il luogo comunicato.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Archiviate (anche) le indagini al Cimitero Teutonico.

Le ossa al cimitero Teutonico risalgono a più di cento anni fa. Con questa motivazione il Giudice Unico dello Stato della Città del Vaticano ha archiviato le indagini sui frammenti ossei rinvenuti nei sotterranei del Cimitero Teutonico Vaticano l’estate scorsa, quando, a seguito di una segnalazione sulla scomparsa di Emanuela Orlandi, la famiglia chiese che venissero esaminati i resti sepolti. Pietro Orlandi: “Non ci fermiamo”.

“Il procedimento relativo alla presunta sepoltura in Vaticano presso il cimitero Teutonico, dei resti di Emanuela Orlandi – si legge nel comunicato della Santa Sede – è stato archiviato dal Giudice Unico dello Stato della Città del Vaticano, che ha integralmente accolto la richiesta dell’Ufficio del Promotore di Giustizia”. Lo stesso comunicato spiega che i frammenti rinvenuti sono databili ad epoca anteriore alla scomparsa della povera Emanuela: i più recenti risalirebbero ad almeno cento anni fa. Il provvedimento di archiviazione, tuttavia, lascia aperta alla famiglia Orlandi la possibilità di procedere, privatamente, ad eventuali ulteriori accertamenti su alcuni frammenti già repertati e custoditi, in contenitori sigillati, presso la Gendarmeria.

 

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Laura Sgrò

Siamo perplessi –  dice Laura Sgro, avvocato della famiglia Orlandi – gli accertamenti sulle ossa repertate, ben 26 sacchi, sono avvenuti l’estate scorsa e sono durati poco più di due giorni, non consecutivi. Si tratta di esami puramente visivi, che, a detta dei migliori consulenti in materia, non sono sufficienti a datare con precisione le ossa. Dunque, mi chiedo come si fa a dire che si tratta di ossa centenarie se queste non sono state esaminate? I test genetici e con Carbobio14 non sono stati effettuati e ora ci sentiamo dire che la famiglia è libera di procedere autonomamente con gli approfondimenti. Eppure il Vaticano conosce le condizioni economiche della famiglia Orlandi, come può pensare che da soli siano in grado di sostenere esami così costosi? Ovviamente non siamo soddisfatti e siamo molto perplessi rispetto al dichiarato spirito di collaborazione della Santa Sede. Ci domandiamo, ad esempio, perché non abbiamo risposto a tutte le altre richieste presentate? Parlo della domanda di ascoltare alcuni cardinali, della richiesta di chiarezza rispetto alla telefonata arrivata in sala stampa, tutte questioni che non sono state sciolte. In più ci interroghiamo sul tempismo di questa archiviazione, giunta in un momento storico in cui non possiamo muoverci liberamente”.

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Il fascicolo sulle ossa al Cimitero Teutonico

A dare il via alle indagini nello storico cimitero della Chiesa era stata una segnalazione, ritenuta credibile, giunta alla famiglia Orlandi l’estate scorsa. Assistito dal suo avvocato, Pietro Orlandi aveva chiesto l’accesso a due tombe ubicate all’interno del Cimitero Teutonico, aperte a luglio di un anno fa e risultato misteriosamente vuote. Contestualmente, però, in un sotterraneo all’interno del complesso cimiteriale, vennero recuperate delle ossa il cui esame venne autorizzato e affidato al professor Giovanni Arcudi, Perito di Ufficio, alla presenza dei consulenti della famiglia Orlandi. Dall’esame di cui quei frammenti ossei il patologo avrebbe concluso che si tratta di ossa centenarie, quindi risalenti a un’epoca precedente a quella della scomparsa della quindicenne Emanuela Orlandi. Di qui la richiesta di archiviazione, che però non chiude l’intricata vicenda di Emanuela. Suo fratello Pietro Orlandi, infatti, ha sempre sostenuto che non avrebbe mai smesso di cercare la verità sulla scomparsa di sua sorella.

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L’appello di Pietro: “Papa rompa il silenzio”

Appello al Papa: “rompa il silenzio”.

Sit in a piazza del Sant’Uffizio per Emanuela Orlandi, scomparsa il 22 giugno 1983. Presenti numerosi amici, i componenti del gruppo ufficiale Facebook fondato da Pietro Orlandi e l’avvocato Laura Sgrò.

Siamo qui per combattere questo silenzio – dice il fratello Pietro Orlandi davanti al Vaticano – Noi non ci arrendiamo, vogliamo arrivare alla verità“.

 

A oltre 36 anni dalla scomparsa di mia sorella non riesco a comprendere questo atteggiamento – sottolinea Pietro a quattro giorni dal cinquantaduesimo compleanno di Emanuela -, il silenzio del Vaticano non ha senso. Mi appello ancora a Papa Francesco per avere quelle risposte che non abbiamo avuto. Il Pontefice rompa il silenzio e prenda una posizione. Abbiamo presentato istanze su istanze ma sono cadute nel vuoto, sono su qualche tavolo a prendere polvere. E’ tutto incomprensibile ma non possiamo accettare passivamente questa ingiustizia e per questo siamo qui“. Al lato del Colonnato di piazza San Pietro amici e familiari di Emanuela hanno esposto diversi striscioni per chiedere verità e giustizia. “Il Buon Pastore cerca la pecorella scomparsa, non ostacola il suo ritrovamento“, si legge su un cartello con la foto di Papa Francesco. “Nessuno Stato né tantomeno la Chiesa possono giustificare la criminalità – riporta un altro striscione – Verità per Emanuela Orlandi“. E ancora: “Ponete fine all’omertà, verità e giustizia per Emanuela“.

Grazie a Valentina per il video

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Laura Sgrò al Papa: “Risponda a richiesta verità”

L’avvocato Laura Sgrò lancia l’ennesimo appello a Papa Francesco per “conoscere tutta la verità” sulla scomparsa di Emanuela Orlandi.

Oggi è il compleanno di Emanuela, il cinquantaduesimo, e io con la sua famiglia torniamo ad appellarci al Pontefice – dice all’Adnkronos l’avvocato Laura Sgrò – Sono trascorsi mesi di silenzio assoluto, un muro di gomma contro cui si è scontrata ogni nostra richiesta: istanze legittime da parte di una famiglia che da più di 36 anni aspetta di conoscere quello che è successo”.

Il legale chiede ora “un’operazione di trasparenza totale dopo il rammarico per un silenzio che continua nel tempo”. E sabato a piazza del Sant’Uffizio Pietro Orlandi ha organizzato un sit in dalle 17 per sua sorella.

In questi mesi abbiamo sentito parlare il Vaticano di indagini finanziarie, si parla – dice Sgrò – di soldi e non di persone: Emanuela è una persona, una ragazza scomparsa a 15 anni, una cittadina vaticana che manca da 36 anni e che dovrebbe avere la precedenza assoluta su tutto. Io ho scritto di recente una lettera al Pontefice – prosegue Sgrò – ma non c’e’ stata risposta. E oggi, come allora, torno a chiedere al Papa gli atti contenuti nel fascicolo che sarebbe detenuto dalla Segreteria di Stato e su cui non abbiamo mai avuto risposta. Non si possono aprire gli archivi su Pio XII e non dare risposte alle nostre richieste. E’ un atto, prima che di giustizia, di pietà cristiana’”.

Non abbiamo avuto nessun risposta – spiega Laura Sgrò – anche alla nostra richiesta di esaminare in maniera approfondita le ossa che sono state selezionate nel cimitero Teutonico in seguito all’apertura delle tombe. E da luglio ad ora sono passati sei mesi”.

Nessuna risposta “nemmeno – spiega il legale della famiglia Orlandi – sul fronte della nostra istanza di sentire i cardinali presenti in Vaticano all’epoca, tutti in età avanzata. Non abbiamo avuto riscontro nemmeno sulle ulteriori richieste investigative che abbiamo fatto sulla telefonata di cui ha parlato Viganò”. Si tratta della telefonata arrivata alla Sala stampa Vaticana la sera della scomparsa della 15enne cittadina vaticana e svelata da monsignor Carlo Maria Viganò in un’intervista sul sito di Aldo Maria Valli. Viganò lavorava nella segreteria di Stato Vaticana all’epoca della scomparsa di Emanuela.

Laura Sgrò e Pietro Orlandi

Quella sera Viganò racconta che con lui c’era il cardinale Sandri e in relazione a questo io ho scritto proprio al cardinale chiedendo lumi sulla vicenda. Tenuto conto della gravità dei fatti narrati e delle possibili ripercussioni ho ritenuto di dover chiedere direttamente a Sandri di confermare o smentire le affermazioni di Viganò chiedendogli di collaborare alla ricerca di verità su Emanuela – dice Laura Sgrò che sulla scomparsa sta svolgendo indagini difensive- Ma dal 3 dicembre quando ho inviato la lettera non ho mai avuto una risposta da un cardinale che in questo momento ha un ruolo apicale in Vaticano. Silenzio assoluto anche su questo fronte”.

di Assunta Cassiano Copyright Adnkronos

 

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Massimo Carminati “er cecato”.

Massimo Carminati criminale di estrema destra ed esponente del gruppo eversivo d’ispirazione neofascista Nuclei Armati Rivoluzionari poi legato all’organizzazione mafiosa romana della Banda della Magliana fino a Mafia Capitale.

C’è stato un tempo, non molti anni fa, in cui la capitale d’Italia era una torta divisa in quattro spicchi e ogni spicchio aveva il suo re. Era il tempo in cui gli uomini della banda che aveva messo in ginocchio la città per vent’anni erano morti o sepolti dietro le sbarre. Roma era diventata terra di nessuno, facile preda di nuove orde di barbari pronti all’assalto con uomini e camper, due famiglie di nomadi e briganti: i Fasciani partiti da Ostia, si sono presi il quadrante a sud-ovest e i Casamonica, abruzzesi d’origine, gli è bastato un passo per prendersi la fetta nordoccidentale, dai Castelli al Mandrione. A sud-est si ferma il napoletano Michele Senese che più che un nome è un simbolo di derivazione camorristica ma chi si è preso la fetta più grossa della torta e per anni ha inzuppato il pane dei suoi affari nel piatto principale della capitale è Massimo Carminati. Al cuore della città, in Campidoglio, ci è arrivato con anni di onorata carriera criminale, ultimo erede della banda della Magliana nelle stanze del potere entrato dalla porta principale perché lui della città conosce miracoli, uomini e soprattutto segreti.

Nel dizionario storico dei blasoni delle famiglie nobili delle famiglie e notabili italiane il blasone dei Carminati è diviso in due settori in quello superiore c’è un Aquila Nera con le ali spiegate su fondo d’oro nell’altra metà invece su fondo rosso c’è un carretto d’oro. La blasonata famiglia Carminati ha origine nella Val Brembana una Cupa Valle delle Prealpi bergamasche attorno all’anno mille i Carminati possedevano La Rocca di Ca Eminente un castello sul monte Ubione come in tutte le famiglie di Antica nobiltà i maschi della dinastia erano facinorosi e belligeranti in seguito nel corso dei secoli i Carminati si diramarono in altre parti d’Italia alcuni continuando la tradizione bellicosa per esempio arruolandosi tra i mille al seguito di Garibaldi altri invece divennero famosi intagliatori e decoratori. Nel Dna di Massimo Carminati il boss passato dai Nar alla banda della Magliana al processo di mafia capitale deve esserci traccia del ramo più acerrimo e bellicoso delle centinaia di Carminati discendenti da quei conti della Val Brembana 

Massimo Carminati

Nato a Milano nel 1958, Carminati si trasferisce al seguito dei genitori a Roma, siamo negli anni 60 i tre Carminati, Massimo, Micaela e Sergio crescono uniti ma Massimo rimane impigliato in una serie di amicizie scolastiche e frequentazioni strane. il senso della famiglia però gli resterà sempre, il fratello che lo difende con veemenza persino dagli attacchi su Facebook da Alessandro Di Battista deputato dei 5 Stelle che lo chiama col soprannome er cecato, scrive “chiedo gentilmente di chiamare con il suo nome e cognome mio fratello Massimo evitando inutili appellativi”. La sorella Manuela lo va a trovare in carcere con la compagna Alessia Marini che Carminati ama teneramente. E poi il figlio Andrea, in una intercettazione si preoccupa che mangi abbastanza perché l’ha visto troppo magro e poi che studi l’inglese per poter accedere a un master. Si preoccupa anche di essere stato arrestato con i mitra spianati davanti al figlio, cosa che potrebbe, secondo Carminati, avergli procurato quei problemi psicologici in cui il figlio pare impigliato e per cui il boss vorrebbe che ci si rivolgesse a una sua amica psicologa che lavora nell’ ospedale di Sant’Andrea.

Massimo Carminati è cresciuto nelle strade di Roma, le scuole private nel quartiere di Monteverde l’amicizia indissolubile con chi, Alessandro AlibrandiFranco AnselmiValerio Fioravanti, insieme a lui sì divideva tra le aule dell’Istituto paritario Monsignor Tozzi, le sedi del Movimento Sociale Italiano, la militanza nel FUAN (il fronte studentesco della destra missina) tra scontri di piazza, pestaggi, rapine di autofinanziamento in nome dell’idea. Carminati all’epoca si incontrava spesso con i suoi camerati al Fungo, una torre altissima nel quartiere EUR, con un cappello in testa, anche allora era un ristorante (ma era nato come serbatoio d’acqua). Sotto quel serbatoio scorrevano vite ad alto rischio, il bar del Fungo è il luogo di incontro per criminali stagionati e terroristi in erba; NAR e banditi si incontravano proprio lì, stesse moto e stesse macchine che nascondevano le stesse armi. Ragazzi criminali che coltivavano il loro bisogno di combattere. La voglia di guerra, stare in prima linea è un’esigenza. Alfredo GranitiDomenico Magnetta e Massimo Carminati vogliono un fronte su cui combattere e un giorno del 1980 lo individuano in Libano, i falangisti cristiano maroniti stanno combattendo una guerra civile contro i fratelli filo palestinesi, è una guerra inutile ma è una guerra, c’è il sangue che scorre, un richiamo troppo forte e allora decidono di partire. Tornano a Roma qualche settimana prima del massacro di Sabra e Shatila, una pagina di storia ancora inzuppata di sangue.

Nel 1979, con la liberazione di Paolo Aleandri, il ventunenne Massimo Carminati compie un salto nella sua carriera criminale guadagnando un credito di reputazione sia con gli elementi della banda della Magliana sia con quelli della Destra eversiva. Le cose andarono così: questo Paolo Aleandri di 3 anni più vecchio di Carminati era un ex militante di Ordine Nuovo e tra i fondatori di Costruiamo l’Azione, una formazione terroristica costruita su idea del criminologo nero Aldo Semerari come organizzazione di scambio di favori con la Banda della Magliana. Aleandri frequentava una specie di scuola fondata da Semerari in una villa in provincia di Rieti, là i boss della malavita venivano istruiti con qualche nozione ideologica politica mentre ai ragazzini neofascisti si insegnava a confezionare bombe. Aleandri era stato però accusato da Danilo Abbruciati e dai suoi soci di aver rubato uno zaino pieno di armi che gli erano state date in consegna dai boss della Magliana. Durante una spiegazione con elementi della banda, in Piazzale Clodio, che gli chiedevano dove fossero finite le armi, non era riuscito a dare risposte convincenti. Era dunque stato rapito e sarebbe stato sicuramente ucciso se non fosse entrato in gioco Carminati che, consegnando alla banda due mitra Mab 38/42 e altre armi, uno scambio ritenuto vantaggioso rispetto alle armi scomparse, ottenne la liberazione. Secondo il racconto fatto da Maurizio Abbatino nel processo alla banda della Magliana del 1992, Aleandri, con i cerotti sugli occhiali, fu tenuto diversi giorni in un covo di Acilia finché appunto, il provvido Carminati alla stazione di Trastevere, consegnò alla banda il nuovo borsone di armi.

La rapina alla Manhattan Chase Bank dell’EUR dona un alone di leggenda alle impresa di Carminati e dei Nar. Mezzo miliardo di lire, all’epoca, erano un sacco di soldi ma era però la scelta dell’obiettivo ad essere mitologica: la banca di Rockfeller con i soldi dell’amministrazione Carter e dello Scià di Persia. In realtà non era per quello che Carminati e gli altri l’avevano scelta ma perché, spiega Giusva Fioravanti, avevano dei complici all’interno. Racconta così la rapina Ugo Maria Tassinari sul suo sito di controinformazione: “ l’azione scatta alle 7:00 del mattino del 27 novembre 1979 quando Giuseppe Bianciardi, il responsabile del personale di pulizia della Chase Manhattan Bank di piazzale Marconi trova all’ingresso dell’Istituto un uomo della Security mai visto prima, l’uomo della Security gli dice ‘sostituisco il vostro vigilante che oggi non si sente bene’ ma appena Bianciardi insieme a due donne delle pulizie entra in banca, la guardia giurata tira fuori la pistola e immobilizza i tre dipendenti. A ruota, dietro di lui, spuntano tre uomini armati che si incaricano di legare e imbavagliare gli impiegati di sportelli presenti quel momento. Attirati dai rumori arrivano anche il direttore e il vice direttore della filiale accompagnati da due cassieri i quali sotto la minaccia delle armi sono costretti ad aprire la cassaforte e a disattivare gli impianti di allarme. I quattro se ne vanno con un borsone pieno di soldi e Travel cheque. Massimo Carminati è alla guida della macchina della fuga”.

Franco Giuseppucci

Nella linea del racconto questo è il momento dell’incontro con Franco Giuseppucci, il negro della banda della Magliana, Carminati porta a lui i Travel check della rapina per riciclarli perchè molto probabilmente già si conoscevano da tempo anche perché quando Giuseppucci, cinematograficamente il libanese, viene ucciso a Trastevere, Carminati è il primo a imboccare la via della vendetta. Furono i Proietti i killer di Giuseppucci, la vendetta era un obbligo ma sugli atti della vendetta, in tribunale, molti anni dopo, si consuma un faccia a faccia che chiarisce più di tante scene da film la natura dei rapporti tra criminali di alto rango; il processo e quello Maxi alla banda della Magliana, Carminati è dietro le sbarre, ce lo ha mandato con le sue dichiarazioni da pentito un pezzo da novanta, Maurizio Abbatino che ora è di fronte a lui e lo accusa dell’omicidio di due ragazzi uccisi, dice lui, per sbaglio da Massimo Carminati perché scambiati per i Proietti. Questa è l’accusa di Abbatino ma Carminati di fronte a lui dice “io ho un alibi di ferro, ero ricoverato all’ospedale Militare del Celio e li di guardia ci sono i carabinieri e alla sera, alle 23.00 c’è il contrappello, mica non ti puoi far trovare…

Maurizio Abbatino

Secondo Maurizio Abbatino, Carminati era grande amico di Danilo Abbruciati e con lui andò negli scantinati del Ministero della Sanità a prelevare, tra le armi la nascoste, uno dei due mitra Mab oggetto dello scambio con il sequestrato Aleandri. Anche un altro dei pentiti della banda della Magliana Antonio Mancini dichiarò in un’intervista del 2014 al Fatto Quotidiano che conosceva Carminati da quando aveva tutti e due gli occhi buoni, prima di vederlo dice “ne conoscevo la fama, era tenuto in considerazione da tutti, mi raccontavano di un suo omicidio a un tabaccaio su ordine di Giuseppucci”. Poi un’altra volta De Pedis mi disse che era stato sempre Carminati a far parte del commando che ha ammazzato Pecorelli, ossia giornalista ucciso nel 1979”. Si intuiva la stoffa del leader? gli chiede il giornalista Alessandro Ferrucci: “inizialmente no, per me era un ragazzo d’azione ma è stato bravo a riempire il vuoto lasciato da Renatino De Pedis dopo la sua morte. Carminati è l’erede di De Pedis perché di tutti gli altri che c’erano attorno a Renato era l’unico ad avere lo spessore giusto, chiamava De Pedis Presidente, ci sono le intercettazioni a raccontarlo, ed era l’unico a poter riacchiappare i fili delle varie componenti. Ha presente quante e quali prove avevano su di lui rispetto all’omicidio Pecorelli? chiunque altro, me compreso, sarebbe stato condannato”. De Pedis cosa diceva di Carminati? chiede ancora il giornalista: “Innamorato. Si fidava di tutto, ma non solo Renato, anche gli altri boss lo adoravano nonostante fosse un ragazzetto”.

Quando viene emesso il primo decreto di cattura nei suoi confronti Massimo Carminati ha solo 23 anni, è il 1981 ed è accusato di associazione sovversiva e partecipazione a banda armata per la sua militanza nei Nar, oltre che di possesso di armi da guerra. Un curriculum che gli riserverà un posto d’onore in tutti i processi più importanti della storia d’Italia, dal delitto Pecorelli al depistaggio per la strage di Bologna, al delitto Iaio e Tinelli per non parlare delle rapine, delle bombe e della guerra in Libano. Ce n’è abbastanza per andare in carcere a vita ma la sua strada sarà lastricata più da assoluzioni che da condanne.

I Nar decidono dunque di farlo espatriare in Svizzera. Carminati si organizza la sera della sua fuga con altre due persone in piazzale Lagosta a Milano, Domenico Maietta e Alfredo Graniti. Luca Rinaldi, su Lettera43, li descrive così: il primo, foggiano trapiantato a Milano, oggi in prima linea “in più” associazione di imprenditori professionisti nata in seno alla Lega Bossiana e voce assidua di Radio Padania, Graniti invece, grande vecchio della destra estrema è tra gli animatori della rinascita di Avanguardia Nazionale in quel di Bergamo. Insieme a Carminati dovranno portare denaro, circa 14 milioni di lire, in una banca elvetica ma qualcosa va storto, al valico Italo svizzero di Gaggiolo, in provincia di Varese, i tre vengono bloccati dalla Digos. La Renault 5 Azzurra che viaggia a fari spenti la stanno aspettando da giorni.

Valerio Fioravanti e Francesca Mambro.

Fresco di pentimento, era stato arrestato solo l’ 8 aprile del 1981, il membro dei Nar Cristiano Fioravanti, fratello di Giusva, sarebbe stato responsabile della soffiata che aveva portato alla sparatoria del 20 aprile 81. E’ su sua indicazione che le forze dell’ordine al valico di Gaggiolo cercavano i capi superstiti dei Nar ossia la compagna di Valerio FioravantiFrancesca Mambro oltre a Giorgio Vale e Gilberto Cavallini. Oggi la Mambro e Giusva Fioravanti sono liberi, hanno chiuso i loro conti con la giustizia italiana, si sono sposati, hanno una figlia e magari puoi incontrarli a passeggio per Roma. I due non sono mai stati collaboratori di giustizia, si sono solo ravveduti senza tradire i compari mentre Cristiano Fioravanti, l’anello debole della catena, dopo il pentimento e un breve periodo di carcere, vive con una nuova identità sotto protezione.

Sulla sparatoria in cui ha perso l’occhio, Massimo Carminati dice “non sono andato a lamentarmi, a piagnucolare, mi sono fatto la mia galera e 40 interventi di ricostruzione”. Dopo la sparatoria a Gaggiolo, Carminati viene portato d’urgenza all’ospedale di Varese nel reparto di neurochirurgia e secondo l’avvocato Maso, intervistato dagli autori del libro destra estrema e criminale a salvargli la vita sarebbe stato il gesto impulsivo di un giovane medico che, viste le condizioni di Carminati con il proiettile che quasi giunto al cervello attraverso l’occhio, decide di estrarlo subito a mani nude. Detenuto poi a Regina Coeli Carminati subirà diversi interventi chirurgici che non riusciranno però a salvargli l’occhio e sarà espiantato. Le sue condizioni saranno oggetto di una battaglia dell’allora Partito Radicale che organizza una conferenza stampa per denunciare l’impossibilità della detenzione di Carminati. La campagna di sensibilizzazione funziona e a  Carminati viene concessa la libertà provvisoria. La storia finisce così, con una benda sull’occhio; da oggi in poi Massimo Carminati diventa er cecato ma sono pochi che si possono permettere di chiamarlo così, i più ne hanno paura perché da ora in poi per Carminati, bandito e terrorista nero c’è anche la definizione di sopravvissuto. Sopravvissuto non solo ai conflitti a fuoco ma anche alle sentenze e ai Tribunali.

È solo nel 1987 che arriva la prima condanna per la carriera criminale di Massimo Carminati. Ha 29 anni ma è sulla piazza dell’illegalità già da 15 anni, secondo Valerio Fioravanti, Carminati è “uno che non vuole porsi limiti nella sua vita spericolata, pronto a sequestrare, uccidere, rapinare. Partecipare a giri di droga, scommesse e usura”. Ma la condanna arriva invece per la rapina alla filiale della Chase Manhattan Bank dell’EUR commessa nel 1979 assieme ad alcuni elementi dei NAR e di avanguardia Nazionale tra cui Giusva Fioravanti. La condanna è a 3 anni e mezzo di reclusione ma tra ben due indulti e sconti di pena, Carminati tornerà libero. “Una vita criminale piena di ingorghi giudiziari ad alta densità di traffico sempre sciolti con il semaforo verde” così lo descrive il giudice Otello Lupacchini che più volte lo ha indagato e interrogato.

Carminati è un ragazzino milanese, un pesce fuor d’acqua, che approda a Roma e trova accoglienza e sostegno in un gruppo di adolescenti neofascisti conosciuti a scuola. In breve diventa un gradasso, un facinoroso e violento pazzoide convinto che ci sia una giustizia superiore che lui trova nel sostegno alla causa neofascista. Nelle intercettazioni raccolte dagli investigatori nel 2014 per il processo mafia capitale si trovano le confidenze di un uomo di 56 anni che guarda al passato e, rievocandolo con orgoglio, come fosse una prodezza, racconta parlando ad un giovane della destra radicale di oggi:  “Mo li vedi i pischelli di 18 anni cò a birretta in mano, sò creature. A me m’hanno bruciato casa due volte, vivevi con l’estintore, ti aspettavano. A 14 anni avevo la pistola, una 7,65 che ho pagato ventimila lire. Ci andavo a scuola con la pistola, col vespone. Erano altri tempi, adesso ti carcerano subito”. Poiché la sua vita l’ha buttata via e l’ha anche fatta buttare a chi ha ucciso, non gli resta che vantare una sua filosofia della morte un coraggio shock, con disprezzo della vita. In un’altra intercettazione dice: “tanto io mi faccio cremare, io mi faccio buttare nel cesso. Lascio in giro soltanto un pollice, voglio lasciare in giro un pollice così magari quando, dopo che sono morto, fanno qualche ditata su qualche rapina, su qualche reato, così dicono che sono ancora vivo. A me non mi frega un cazzo della vita”.

I suoi avvocati non si sono mai annoiati tra furti, rapine, associazione mafiosa e qualche omicidio comune, ma nel carnet delle ipotesi e delle piste mancano due delitti politici, sarebbero stati commessi con armi particolari, armi che provenivano dal deposito in fondo al Ministero della Sanità in via Listz, all’Eur, la Santa Barbara della banda della Magliana e lui ha le chiavi. Per quelli della Banda della Magliana ce l’aveva Claudio Sicilia, per i Nar, Carminati. Ad accusarlo sono quasi tutti gli uomini della banda, da Antonio Mancini a Maurizio Abbatino, il pentito che per primo collega il suo nome al depistaggio nelle indagini sulla strage di Bologna. Il terrorismo stava perdendo, le stragi di Stato o neofasciste che fossero erano alle spalle, si entrava negli anni ottanta, quelli del disimpegno e del reflusso dopo i cosiddetti anni di piombo e quella strage invece ci risucchiava all’indietro. Nella strategia della tensione, nella ricerca infruttuosa dei colpevoli, nell’assurdità odiosa e insopportabile di colpire nel mucchio, tra chi andava o tornava dalle vacanze, tra i pendolari della pacciosa stazione di Bologna. Qualcosa di spaventosamente indimenticabile andava a distruggere quella città: una bomba nascosta in una valigia ed esplosa alle 10:25 del mattino. Una bomba che uccise 85 persone e ne ferì e mutilò altre 200.

La prima ipotesi sulla strage di Bologna fu che era colpa di una vecchia caldaia che stava nei sotterranei della stazione, non fu qualche mitomane a tirarla fuori ma, congiuntamente il governo di Francesco Cossiga e i vertici della polizia. Si trattò dell’inizio del depistaggio questa versione dura giusto il tempo di effettuare le prime perizie e quando si capì che era stata una bomba, o per meglio dire, quando diventò impossibile raccontare il contrario, arrivarono rivendicazioni a raffica e altrettante smentite sia dei Nar che delle Brigate Rosse. Stranamente la prima telefonata attribuita ai neofascisti, si scoprì poi che partiva dalla sede fiorentina del servizio segreto militare. C’era comunque già un’indagine in corso sul terrorismo nero per la strage del treno Italicus, nonché numerosi rapporti della Digos sulla formazione ordine nuovo di Franco Freda. Le indagini continuarono in quella direzione, il 28 agosto la Procura di Bologna emise 28 ordini di cattura nei confronti di militanti neofascisti dei nuclei armati rivoluzionari, di terza posizione, del Movimento rivoluzionario Popolare e a questi si aggiunsero altri per un totale di 50 tutti però saranno scarcerati nel 1981.

Otello Lupacchini

Erano gli anni in cui i depistaggi facevano strage di processi, esplodevano all’improvviso come le bombe sui treni e quando la polvere delle macerie ricadeva, imputati e piste investigative erano insabbiate. Mesi di interrogatori ed indagini ormai vicini al traguardo sepolte per sempre, poi anni e anni a spazzare la sabbia fino al primo rigurgito di coscienza che in genere coincide con la morte di qualche coinvolto eccellente, successe anche al processo per la strage di Bologna, la tangenziale per depistaggio si apre e si chiude, è l’ingorgo giudiziario di Carminati che finisce con un altro semaforo verde. Il giudice Otello Lupacchini è il magistrato che più di tutti ha indagato e interrogato Carminati ma a quel tempo è come un vigile urbano a cui tolgono paletta e fischietto.

Ma il bandito nero entra in un altro caso misterioso. Nei libri di storia quelli vengono chiamati anni di piombo: il 16 marzo 1978 viene rapito il capo della Democrazia Cristiana Aldo Moro. Lo hanno rapito i brigatisti rossi, la tensione è alle stelle e Roma è una città in guerra ed allora l’attenzione si sposta su Milano, Carminati si rifugia proprio lì.

Il centro sociale Leoncavallo, che occupava abusivamente uno stabile degli immobiliaristi Cabassi, era un luogo di aggregazione sociale ultra noto anche fuori di Milano e di cui si parlava da anni. Lì si facevano concerti, si svolgevano corsi gratuiti di artigianato, c’erano gruppi di auto-aiuto, era insomma una realtà molto radicata nel quartiere del Casoretto, una periferia distante solo tre o quattro fermate della linea uno del metrò dal centro della città. L’assassinio di due ragazzi che lo frequentavano Iaio e Fausto assassinio avvenuto nel 78 aveva oltretutto reso il Leoncavallo un luogo mitico con i suoi eroi resi icona delle battaglie movimentiste fra cui quella contro lo spaccio di droga. Iaio e Fausto vennero colpiti da 8 colpi di pistola e l’omicidio fu rivendicato da varie sigle neofasciste, i due diciottenni stavano conducendo indagini sul traffico di eroina e cocaina al Casoretto, a Città Studi e Lambrate, traffico che era gestito dalla malavita e da elementi dell’estrema destra milanese. Dopo la loro morte vennero trafugati i nastri su cui avevano inciso le interviste raccolte nel quartiere che contenevano indicazioni sui nomi degli spacciatori. Non saranno mai trovati i colpevoli ma ma un nome che aleggia dietro la morte di Fausto e Iaio è quello dei della Brigata Anseli dei NAR, gruppo che rivendica gli omicidi e gruppo dove milita Massimo Carminati.

Il mondo di mezzo è il suo nuovo Regno lui che ha attraversato indenne il vecchio mondo è pronto a entrare nella nuova era, la sentenza che lo rende innocente è per lui un punto di svolta e in questo momento che c’è l’evoluzione del personaggio.

TEORIA DEL MONDO DI MEZZO

Carminati: è la teoria del mondo di mezzo compà. ….ci stanno… come si dice… i vivi sopra e i morti sotto e noi stiamo nel mezzo

Brugia: embhè.. certo..

Carminati: e allora….e allora vuol dire che ci sta un mondo.. un mondo in mezzo in cui tutti si incontrano e dici cazzo come è possibile che quello…

Guarnera: …(inc.)…

Carminati: come è possibile che ne so che un domani io posso stare a cena con Berlusconi..

Brugia: certo… certo…

Carminati: cazzo è impossibile.. capito come idea?. . .è quella che il mondo di mezzo è quello invece dove tutto si incontra. . cioè.. hai capito?… allora le persone.. le persone di un certo tipo… di qualunque

Guarnera: …(inc.)…

Carminati: di qualunque cosa… .si incontrano tutti là. . .

Brugia: di qualunque ceto. .

Carminati: bravo…si incontrano tutti là no?.. tu stai lì…ma non per una questione di ceto… per una questione di merito, no? …allora nel mezzo, anche la persona che sta nel sovramondo ha interesse che qualcuno del sottomondo gli faccia delle cose che non le può fare nessuno. .

Brugia: certo..

Il vero colpo della sua vita Carminati lo ha messo a segno con quell’unico occhio buono con il quale però vede lunghissimo. La storia di un colpo che ha davvero dell’incredibile, a Roma sono state svuotate quasi 200 cassette di sicurezza nella banca che si trova all’interno del palazzo di giustizia. La banca che si credeva fosse quella più sicura d’Italia, con la camera blindata nei sotterranei di uno dei luoghi più sorvegliati di Roma e invece, con un colpo che ha dell’incredibile, una banda di cassettari, una specialità della mala Romana, ha scassinato e svaligiato 148 cassette di sicurezza nella filiale della banca di Roma del Palazzo di Giustizia di Piazzale Clodio.

Lirio Abbate

I cassettari, in gergo da vecchia malavita, sono ladri specializzati in cassette di sicurezza, non usano armi ed entrano negli istituti di credito di solito nel weekend, per avere più tempo per lavorare, usando chiavi false basisti e tunnel sotterranei. Massimo Carminati però non era un cassettaro ma le cassette di sicurezza della banca di Roma di Piazzale Clodio gli interessavano e, secondo il giornalista Lirio Abbate, per le carte che contenevano e non per i soldi. Forse per questo dopo aver forato la porta blindata del caveau, secondo la ricostruzione, Carminati avrebbe indicato alla banda, quali cassette forzare. Solo quelle piccole con una speciale attrezzatura che attraverso una sorta di pompa idraulica riesce ad aprirne quattro per volta.

Carminati come Pecorelli? il potere Romano, come tutto quello che si dipana nelle capitali del mondo, è fatto anche di strumenti di ricatto. Il furto nel caveau dell’agenzia 91 della banca di Roma, il 17 luglio del 1999, per la qualità delle vittime, decine di altri magistrati, avvocati, cancellieri, consulenti, professionisti e imprenditori, è per il potere di ricatto che ne deriva Massimo Carminati, indubbiamente il più sensazionale colpo della storia italiana. Carminati lascia il bottino in denaro ai complici e tiene per sé le cassette di sicurezza che come si immagina, non custodiscono solo gioielli, ma anche pacchi di denaro nero, documenti e fotografie. Tra le cassette visitate, su alcune delle quali si è favoleggiato, su altre di cui si è sempre taciuto, inducono il sospetto, che non è chiaramente certezza o prova, che in quelle cassette potessero essere conservati anche dei segreti. Tra i clienti di quella banca ci sono decine di magistrati, avvocati e dipendenti del tribunale ma l’elenco completo dei derubati non è mai stato reso pubblico. Nel 2016 però l’Espresso svela l’identità di gran parte delle 134 persone derubate, da una parte giudici onestissimi, rigorosi, preparati e spesso con ruoli di vertice nelle corti e nei ministeri insieme a grandi avvocati impegnati anche come difensori di parti civili in processi per mafia o terrorismo nero (compresi i casi in cui era imputato lo stesso Carminati), dall’altra magistrati e legali con un passato imbarazzante, in qualche caso addirittura arrestati e condannati per corruzione. La toga più famosa è il titolare della cassetta svaligiata numero 720: Domenico Sica, magistrato e prefetto, morto nel 2014, senza che nessuno pubblicamente lo avesse mai segnalato come vittima di Massimo Carminati. E’ stato lui ad occuparsi, tra l’altro, dell’omicidio Pecorelli, del caso Moro, dell’attentato al papa e della scomparsa di Emanuela Orlandi.

Tra i derubati c’è anche Guido Calvi, avvocato di processi scottanti, che ancora oggi si fa una domanda:  “sono rimasto abbastanza sorpreso che avessero aperto anche la mia cassetta, perchè in realtà in quella cassetta c’erano soltanto delle penne che mi avevano regalato e alcuni gioielli di famiglia di mia moglie. Capisco bene le ragioni con cui hanno fatto una selezione di quelle cassette, secondo me c’era una criminalità comune interessata a prelevare oggetti preziosi ma sicuramente, l’intento di chi ha organizzato il colpo era quello di trovare documenti riservati, segreti la cui conoscenza avrebbe potuto essere utilizzata per altri fini. Ma perchè c’erano anche esponenti delle Forze dell’Ordine che hanno partecipato a questa operazione? evidentemente c’era un interesse che andava al di là della  materialità degli oggetti rubati, c’era qualche cosa di più e di rilevante altrimenti sennò non si faceva”.

Mentre Carminati era in carcere per mafia capitaleMaurizio Abbatino, il vecchio pentito della banda della Magliana, teme per la sua vita: è sicuro che il cecato lo farà ammazzare. “Carminati era freddo lucido, il più freddo e lucido di noi, quello con più potere d’attrazione. Ad ogni assoluzione il potere di Carminati è cresciuto, ha avuto la fortuna di godere di protezioni dall’alto, di essere imputato dell’omicidio di Mino Pecorelli insieme ad Andreotti…   tutti sapevano, tutti, non c’era più sangue come allora, come ai tempi cui la banda crebbe ma un altro tipo di potere è tutto nelle mani di Carminati e dei suoi. Non ho le prove che Carminati uccise Pecorelli ma ho elementi che mi fanno pensare che fosse lui, non è un mistero che quell’omicidio nacque nel nostro ambiente, nella banda della Magliana, ordinato da altri, noi lo eseguimmo…

Nella nuova vita di Carminati ci sono vecchi amici e nuovi alleati, tra gli amici c’è Riccardo Brugia che per Massimo è pronto a tutto, un sentimento reciproco a giudicare dalle dichiarazioni in tribunale e soprattutto Salvatore Buzzi, una conoscenza fatta in carcere a Rebibbia.

Salvatore Buzzi, di nascita modesta, comincia ad accumulare soldi spacciando assegni contraffatti della banca dove lavora che un complice si occupa di incassare. Quando il complice però prova a ricattarlo Buzzi lo uccide a coltellate. Condannato a 30 anni si laurea in carcere in Lettere e Filosofia con il massimo dei voti e dopo 10 anni, ormai detenuto modello, viene graziato dall’allora presidente Scalfaro e mette i piedi la Cooperativa 29 giugno. In apparenza la cooperativa si occupa di reinserimento sociale, di immigrati, di lavori vari e Buzzi diventa un riferimento per tutte le giunte romane. Peccato che quando parte l’inchiesta di mafia capitale si scopre che, secondo l’accusa, Buzzi avrebbe usato la cooperativa per distrarre ingenti quantità di denaro a suo beneficio. In un’intercettazione eseguita dal Ros dei Carabinieri per conto della procura di Roma, Buzzi si rivolge così a Pierina Chiaravalle sua collaboratrice: “Tu hai idea di quanto si guadagna sugli immigrati? il traffico di droga rende meno.

Un altro nuovo amico di Carminati è Riccardo Mancini, laureato honoris causa in ingegneria meccanica all’università Pro Deo, università che fa un po’ pensare a quella di Tirana dove si era iscritto il trota, il figlio di Bossi. Mancini, fedelissimo dell’ex sindaco Gianni Alemanno e con lui in prima linea nel fronte della gioventù, aveva finanziato la sua campagna elettorale. Tra i tanti ruoli ricoperti è stato amministratore delegato di Eur Spa, una delle più importanti società partecipate del comune di Roma, un’attività frenetica la sua, cariche, denari e progetti tutto però bloccati nel 2011 con l’inchiesta del PM Paolo Ielo per una presunta mazzetta da 600.000 euro versata da Breda Menarini Bus, del gruppo Finmeccanica, per aggiudicarsi la fornitura di 45 filobus al Comune di Roma. Filobus poi acquistati e mai utilizzati.

Carminati dunque cambia a secondo dei tempi in cui vive, adesso, nel nuovo millennio non più magliana ne Eur, ora si muove a Roma Nord, il suo quartiere è Vigna Clara, e da lì parla solo da vecchie cabine telefoniche a scheda. Conserva qualcosa di antico Carminati ma ormai il paesaggio attorno a lui è del tutto nuovo, guida una Smart e la benda sull’occhio non è più nera ma bianca. Di nero però sono rimasti gli affari che fa con personaggi più o meno scuri, come lui. Carminati ha un pregio, si adatta ai tempi: terrorista nei tempi del terrorismo, alleato della banda della Magliana quando comandava Roma, coinvolto nel calcioscommesse nel 2012 e presunto capo della Cupola di mafia capitale. Una capacità di adattamento fuori dal comune ma che mantiene lo stesso stile, quello dell’ormai famoso mondo di mezzo. Carminati al centro di una rete di rapporti dove la sua fama è sufficiente per incutere rispetto e devozione. Da una parte i rapporti con l’AMA ed esponenti del comune di Roma, dall’altra quelli con le batterie criminali, affari con la Ndrangheta del clan Mancuso col traffico di droga e quando comincia ad intensificarsi l’arrivo di migranti, ecco che  Carminati, secondo la condanna in primo grado, si allea con Salvatore Buzzi per ricavarne il più possibile. Al centro la gestione dei centri governativi per i richiedenti asilo conquistati a suon di ribassi. Il primo ad entrare nel mirino dei magistrati è il Cara di Mineo dove il numero degli immigrati viene gonfiato così come le spese per il vitto l’alloggio. Al centro dell’indagine Luca Odevaine, che faceva parte del tavolo di coordinamento nazionale sull’accoglienza per i richiedenti e titolari di protezione internazionale: un tavolo molto importante. Odevaine secondo i magistrati era a libro paga di Massimo Carminati perché è capace di indirizzare l’assegnazione dei migranti del Cara di Mineo in altri centri di accoglienza di imprenditori amici. Il mondo di mezzo faceva i soldi sulla pelle dei disgraziati.

Franco Panzironi, accusato di mafia, ha trascorso due anni e 7 mesi dietro le sbarre ed è uscito dal carcere a luglio. Ex amministratore delegato di AMA, l’azienda municipalizzata di Roma, è stato condannato nel processo mafia capitale a 10 anni di reclusione. Gli sono stati contestati 300.000 euro di tangenti ricevute da Buzzi. Nel 2011 era finito nel registro degli indagati per l’affaire parentopoli che riguardava circa 841 assunzioni sospette nei ranghi della municipalizzata dei rifiuti, assunzioni avvenute tra il 2008 e il 2009 che nella maggioranza dei casi riguardavano persone del tutto prive delle specializzazioni richieste o del titolo di studio idoneo per l’incarico.

Carlo Pucci era invece una sorta di appendice di Riccardo Mancini, è un ex ristoratore che con l’arrivo dell’amico Mancini a Eur Spa, diventa, prima direttore commerciale e valorizzazioni immobiliari dell’ente Eur Spa e dal 24 ottobre 2014, direttore progetti speciali e servizi interni. Secondo gli inquirenti, in compagnia di PanzironiPucci fornisce uno stabile contributo per l’aggiudicazione di appalti pubblici per lo sblocco di pagamenti in favore delle imprese all’associazione. C’è un’intercettazione in cui Carminati lo chiama preoccupato perchè Mancini è sotto indagine e teme che potrebbe parlare: “ce la fà, ce la fà tenersi il cecio in culo?”.

Tutte le indagini partono da qualcosa che mette la pulce nell’orecchio gli inquirenti, quella su mafia capitale, partiti da una soffiata sulla casa dove Massimo Carminati viveva a Sacrofano in origine appartenuta a Marco Iannilli commercialista già arrestato per false fatturazioni e divenuto proprietario di un’azienda digitale nell’orbita di Finmeccanica, la Digint. La villa rappresentava il prezzo della protezione dalle minacce rivolte a Marco Iannilli da Gennaro Mokbel, il famoso avvocato connesso con la Banda della Magliana che voleva restituiti gli otto milioni di euro investiti nella Digint. Da quelle prime intercettazioni si verranno a scoprire i legami tra Carminati e l’imprenditore Agostino Gaglianone, vale a dire il committente di Salvatore Buzzi nei lavori del campo nomadi di Tor de’ Cenci nel settembre del 2012.

Una sottile disquisizione para filosofica è quella di Carminati sul mondo di mezzo che ha dato nome all’indagine dei ROS: “ci sono i vivi sopra e i morti sotto e noi in mezzo, c’è un mondo in cui tutti si incontrano. Il mondo di mezzo è quello dove è anche possibile che io mi trovi a cena con Berlusconi…” Ci sono però anche i sonori della polizia e dei carabinieri che registrano i momenti cruciali di tutte le loro operazioni, è il 3 dicembre del 2014 il momento della cattura del cecato:

Quello che succederà dopo è una storia processuale e non è ancora finita.

Il 20 luglio 2017 nella sentenza di primo grado emessa dalla 10ª sezione del Tribunale penale di Roma, viene derubricata l’associazione a delinquere di stampo mafioso in associazione semplice e confermate le accuse di corruzione, turbativa d’asta. Massimo Carminati è stato tolto dal regime di carcere duro (41 bis) riservato ai detenuti mafiosi e al quale era sottoposto dal dicembre del 2014. Il tribunale di Roma infligge comunque pesanti condanne ai principali imputati.

Massimo Carminati, 20 anni di reclusione.

Franco Panzironi già condannato in primo grado a 5 anni e 3 mesi di galera, per l’assunzione di persone imparentate nella società da lui gestita, chiamata Parentopoli, è stato condannato a due anni di galera.

Salvatore Buzzi è stato condannato a 19 anni di reclusione dal tribunale ordinario di Roma per associazione a delinquere.

Mirko Coratti è stato condannato a 6 anni di galera e all’interdizione perpetua dai pubblici uffici

Andrea Tassone, ex presidente del municipio di Ostia, condannato a 5 anni di galera.

Giordano Tredicine, ex consigliere comunale è stato condannato a 3 anni di galera.

Luca Odevaine è stato condannato a 6 anni e 6 mesi di galera, (8 con la continuazione).

Riccardo Brugia, condannato a 11 anni di galera, ottiene gli arresti domiciliari.

Gianni Alemanno, uscito dal processo di mafia capitale, il 25 febbraio 2019 viene condannato per corruzione e finanziamento illecito ai partiti a 6 anni di galera. L’ex sindaco è stato interdetto in perpetuo dai pubblici uffici e sono stati anche confiscati 298.000 euro. Il giudice penale ha altresì condannato Gianni Alemanno a risarcire il danno cagionato sia ad Ama che a Roma Capitale, da liquidarsi in sede civile, fissando una provvisionale di 50.000 euro a favore di entrambi gli enti danneggiati.

Mafia-capitale-SENTENZA primo grado

Mafia-capitale-SENTENZA secondo grado

IL PROCESSO D’APPELLO

Il 6 marzo 2018 inizia il processo d’appello. I PM sostengono ancora che si tratti di un’associazione di stampo mafioso, chiedendo la detenzione a 25 anni per Buzzi e 26 anni per Carminati, e il ripristino dell’articolo 416 bis. L’11 settembre 2018 la terza sezione della Corte d’Appello di Roma ripristina il disposto dell’art. 416 bis c.p., riconoscendo la sussistenza del “metodo mafioso“, sebbene riduca le condanne di Buzzi e Carminati a 18 anni e 4 mesi per il primo e a 14 anni e sei mesi per il secondo.

I giudici riconoscono associazione a delinquere di stampo mafioso, aggravante mafiosa o il concorso esterno, a vario titolo, per altri 16 imputati: per Claudio Bolla condannato a 4 anni e 5 mesi, Riccardo Brugia 11 anni e 4 mesi, Emanuela Bugitti 3 anni e 8 mesi, Claudio Caldarelli 9 anni e 4 mesi, Matteo Calvio 10 anni e 4 mesi. Condannati, tra gli altri, anche Paolo Di Ninno 6 anni e 3 mesi, Agostino Gaglianone 4 anni e 10 mesi, Alessandra Garrone 6 anni e 6 mesi, Luca Gramazio 8 anni e 8 mesi, Carlo Maria Guarani 4 anni e 10 mesi, Giovanni Lacopo 5 anni e 4 mesi (deceduto), Roberto Lacopo 8 anni, Michele Nacamulli 3 anni e 11 mesi, Franco Panzironi 8 anni e 7 mesi, Carlo Pucci 7 anni e 8 mesi e Fabrizio Franco Testa 9 anni e 4 mesi, Mirko Coratti 4 anni e 6 mesi, Andrea Tassone 5 anni.

LA CASSAZIONE

Il 22 ottobre 2019 la Corte suprema di cassazione annulla l’aggravante mafiosa a carico degli imputati, rilevando la presenza di due distinte associazioni “semplici“: quella di Salvatore Buzzi e quella di Massimo Carminati. Delibera inoltre la celebrazione di un nuovo processo d’appello per ricalcolare le pene per Buzzi, Carminati, Luca Gramazio e i principali imputati del processo al mondo di mezzo avendo riqualificato l’accusa in associazione a delinquere “semplice“.

Ci saranno da ridefinire le pene di 24 dei 32 condannati. Per gli altri 8 le sentenze sono definitive. Si tratta di Mirko Coratti (4 anni e 6 mesi), Giordano Tredicine (2 anni e 6 mesi), Franco Figurelli (4 anni), Marco Placidi (5 anni), Andrea Tassone (5 anni), Guido Magrini (3 anni), Mario Schina (4 anni) e Claudio Turella (6 anni).

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