ROMA.  Il «quarto re di Roma», per la smania di soldi e di potere nella capitale. «Er cecato», per aver perso un occhio durante un conflitto a fuoco con la polizia. Il «Nero» di Romanzo criminale, per il suo passato di terrorista di estrema destra nei Nar. Tre modi per definire Massimo Carminati, che ieri mattina è uscito dal carcere di Oristano per decorrenza dei termini, ma che da oggi ha l'obbligo di dimora nella sua casa a Sacrofano, provincia di Roma. Insieme con l’obbligo di dimora gli è stato notificato anche il divieto di espatriare. La limitazione nei suoi confronti è stata ordinata stamani dalla Corte d'appello di Roma, per scongiurare il pericolo di fuga. Si ricorda a proposito la sua rocambolesca fuga nel 1981, quando cercò di oltrepassare il confine svizzero e perse un occhio in un conflitto a fuoco.

L’imputato principale dell’inchiesta Mafia Capitale, che poi mafia non era come ha decretato a ottobre la Cassazione, riacquista la libertà proprio grazie alla derubricazione dell’accusa più infamante, quella di essere appunto un mafioso. Il suo avvocato, il professore Cesare Placanica, è riuscito, insieme al collega Francesco Tagliaferri, a farlo liberare per una questione tecnica e oggettiva: la scadenza dei termini di custodia cautelare, con il meccanismo della contestazione a catena.



Oristano, la scarcerazione di Massimo Carminati dopo 5 anni e 7 mesi

La riconquista della libertà di Carminati ha scatenato l’ira del Guardasigilli Alfonso Bonafede, che ha incaricato l’ispettorato generale di verificarne la legittimità, e quella del leader della Lega Matteo Salvini, che sentenzia: «Il ministro della Giustizia dorme e gente come Massimo Carminati esce dal carcere».

In realtà non poteva essere altrimenti, perché una volta scaduta la contestazione del 416 bis, è rimasta come accusa maggiore quella della corruzione, i cui termini della custodia cautelare erano scaduti già il 30 marzo scorso. Ma la corte d’Appello per tre volte ha rigettato il ricorso degli avvocati. «Siamo soddisfatti che la questione tecnica che avevamo posto alla corte d’Appello e che tutela un principio di civiltà sia stata correttamente valutata dal Tribunale della libertà», commenta l’avvocato Placanica che stigmatizza anche la volontà del ministro Bonafede di ricorrere agli ispettori. «Le ispezioni si fanno ma non si annunciano - osserva il professore -. Con le sue dichiarazioni il ministro vuole mettere sotto pressione i giudici. Ma questi non devono essere coraggiosi, devono essere sereni. E non possono certo lavorare minacciati dal ministro».

Resta invece ancora ai domiciliari Salvatore Buzzi, il ras delle cooperative rosse: lui e Carminati erano a capo di due sodalizi criminali che hanno alimentato la corruzione nella capitale, negli appalti dell’emergenza immigrati, del verde pubblico, della raccolta rifiuti, coinvolgendo colletti bianchi e politici sia del Pdl sia del Pd. L’inchiesta di Mafia capitale è inoltre conosciuta come Mondo di mezzo per un’intercettazione in cui Carminati dichiarava: «È la teoria del mondo di mezzo compà, ci stanno come si dice i vivi sopra e i morti sotto e noi stiamo nel mezzo». Quello spazio, cioè, in cui il mondo dei politici incontra quello dei criminali.

Carminati, nato a Milano ma romano d’adozione, 62 anni, è stato condannato a 14 anni e mezzo ma la pena non è definitiva. Quando gli ermellini hanno negato la componente dell’associazione mafiosa hanno infatti ordinato alla corte d’Appello un ricalcolo degli anni. È probabile, quindi, che la condanna venga diminuita.

Uomo spietato, non avvezzo alle feste mondane come altri criminali del suo calibro, Carminati conserva, da quarant’anni, un mare di segreti. Tra i quali quelli scoperti quando ideò il furto al caveau della Banca di Roma all’interno del Palazzo di Giustizia a Piazzale Clodio nel 1999 in cui, fra l’altro, venne rubata documentazione per ricattare i magistrati. A lungo si è poi sospettato di un suo ruolo con i servizi segreti nel depistaggio delle indagini per la strage di Bologna. È stato prosciolto dall’accusa di essere uno dei killer di Mino Pecorelli e ritenuto vicino alla banda della Magliana. Quand’era al liceo, si era legato molto ad alcuni compagni di scuola come Franco Anselmi, ex missino e fondatore dei Nar, e Valerio Fioravanti, condannato in via definitiva per la strage alla stazione di Bologna. Nella sua lunga carriera criminale ha beneficiato di tre indulti. Ora è di nuovo libero. Almeno fino a quando non arriverà la sentenza definitiva della Cassazione