lunedì 28 dicembre 2015
Ancora nel 2015.....
Sono solo i casi confermati. L’Onu ne sospetta almeno duemila, il Consiglio federale di medicina brasiliano 250mila in tutto il Paese negli ultimi anni. Padre Renato Chiera, fondatore della "Casa do Menor", parla di «400 alla settimana», eliminati nel corso del «genocidio sociale» in atto. Bambini svaniti, raramente cercati, mai ritrovati.
Non è una novità, sottolineano gli operatori sociali. Non per cinismo, ma per ricordare ai giornalisti e alle organizzazioni per la protezione dell’infanzia che i meninos da rua delle favelas non finiscono nel mirino delle forze dell’ordine solo quando i grandi eventi portano il Brasile sotto i riflettori.
Però alla vigilia delle Olimpiadi del 2016, come dei Mondiali del 2014, certamente muoiono di più. Il Comitato Onu sui Diritti dell’infanzia riferisce di un «più elevato numero di esecuzioni sommarie di bambini» negli ultimi mesi, accompagnate dall’impunità della polizia brasiliana, «direttamente coinvolta» negli assassini. Amnesty International ha contato le esecuzioni extragiudiziali liquidate con la formula della «resistenza all’arresto» e ha rivelato che sono il 16% degli omicidi avvenuti a Rio de Janeiro negli ultimi cinque anni. In molti casi le ferite provano che la vittima stava scappando quando è stata raggiunta da un proiettile, o era in ginocchio.
Ma se l’opinione pubblica internazionale s’indigna, la gente in Brasile, per lo più, tace, anzi, “applaude”, fa notare ancora padre Chiera. Perché ha paura. E di fronte alla conta annuale di circa 60mila omicidi riceve dallo Stato solo la promessa di una “tolleranza zero” che, spiega il rapporto Onu, produce altra morte. «L’aumento del numero di adolescenti vittime della polizia è una sfida – vi si legge –. Le vittime sono soprattutto ragazzi poveri dalla pelle nera che vivono alla periferia delle aree metropolitane delle grandi città. La loro probabilità di essere uccisi dalla polizia è quattro volte maggiore quella di un adolescente bianco». L’organismo propone al governo brasiliano la soluzione radicale di eliminare il reato di autos de resistência, la «resistenza all’arresto» come «grande passo verso la protezione dei diritti dei bambini».
Non ci sono per ora indicazioni che le autorità locali o federali abbiano preso in considerazione il consiglio. Al contrario, lo sforzo attuale sembra piuttosto di rendere anche la povertà un reato. A settembre, le famose spiagge di Ipanema e Copacabana sono state proibite ai ragazzini delle favelas. Basta non avere le scarpe addosso o essere vestiti in malo modo per essere bloccati da un cordone di agenti, spesso arrestati. E la stessa logica sta spingendo il Parlamento brasiliano ad abbassare a 16 anni l’età per la quale si può essere processati come adulti, nonostante la misura sia stata severamente criticata dall’Onu e dalla Chiesa.
Rio 23-7-1993 Meninos de rua⚫️⚫️⚫️⚫️⚫️⚫️⚫️⚫️
E’ il 23 luglio 1993 e alcuni fatti di estrema violenza segnano la storia di Rio de Janeiro: 8 bambini di strada che dormono sotto i portici intorno alla chiesa della Candelaria vengono uccisi da una squadra della Polizia Militare.
Il 27 luglio 2012, diciannove anni dopo, con Barbara Olivi e Il Sorriso dei miei Bimbipartecipiamo alla terza giornata (23 -25 luglio le precedenti) della “Caminhada em defesa da vida”, corteo in difesa della vita, in memoria della Strage della Candelaria.
Parlando della realtà dei giovani delle favelas è impossibile evitare il discorso dei meninos de rua, i bambini di strada brasiliani che si ritrovano a sniffare colla e a commettere piccoli reati per sopravvivere. Come se non bastasse, anche in questo caso ci ritroviamo a parlare di violenti interventi dei membri della Polizia Militare, gruppi di persone armate che vengono chiamati anche squadroni della morte, proprio per sottolinearne la violenza. Tra il 1985 e il 1995 sono moltissimi i casi di violenza sui bambini di strada, soprattutto nelle grandi città come Rio de Janeiro, San Paolo, Recife e Salvador.
In un articolo del Corriere della Sera del 1996 un uomo racconta della strage della Candelaria. Lui era uno dei poliziotti spediti lì per il massacro. “I killer spesso sono poliziotti assoldati dai negozianti, come spietati giustizieri, per “ripulire” i quartieri dai piccoli senzacasa che sopravvivono nella miseria più totale rubando, facendo l’ elemosina e sniffando colla per lenire i crampi della fame” è quanto si legge nell’articolo del Corriere.
Se si vuole approfondire, un buon film che racconta la storia di uno dei ragazzi sopravvissuti alla strage della Candelaria è Ultima Fermata 174, basato su fatti realmente accaduti a Rio nel 2000, quando il ragazzo, ormai sfinito da una vita di violenza e senza più speranza di uscirne, sequestra l’autobus 174 (oggi cambiato in 158) per quasi 5 ore.
Il film si chiude con una frase emblematica: “Quem não tem nada a perder, não sabe quando parar”, chi non ha niente da perdere, non sa quando smettere.
Nella nostra esperienza in favela abbiamo cercato di ascoltare tante storie, molte delle quali sono arrivate come piccoli sfoghi spontanei. Si stava parlando di viaggi per il Brasile, degli autobus, del turismo, quando questo ragazzino, quindicenne, ci racconta della sua esperienza di viaggio a San Paolo. Aveva 7 anni ed è scappato di casa perché la mamma sbatteva lui e la sorella in strada, si è infilato nel bagagliaio di un autobus e si è fatto tutto il viaggio lì. Un viaggio di circa 450 km, più o meno come Milano-Perugia, incastrato di nascosto tra i bagagli. Ci racconta che lui è scappato di casa tante volte e che tante volte è stato anche catturato e portato in carcere e non per forza per aver commesso piccoli reati, ma anche solo per essersi trovato per strada insieme ad altri bambini, dove faceva il giocoliere ai semafori per raccogliere qualche moneta.
Il nostro portoghese non è perfetto, e mentre racconta gesticola molto per farci capire meglio. “Una delle celle era grande così”, e con il dito disegna una linea immaginaria che va poco oltre lo spazio che occupa il suo corpo, “e c’era una donna che quando piangevamo ci bruciava le mani con un ferro incandescente” e ci mostra i segni.
In Italia non siamo abituati a vedere così tanti bambini di strada, e forse te ne rendi conto quando sei in Brasile. La strada per loro è una scelta forzata, il male minore rispetto a restare in una casa dove ci sono condizioni di povertà estrema o episodi di violenza continui.
Anche se in realtà solo una piccola parte dei bambini di strada finisce per commettere reati, questi ragazzini sono comunque considerati un pericolo per la popolazione e in Brasile c’è stata una vera e propria politica di repressione e di pulizia che ha portato alla nascita di gruppi di sterminio, che sono il risultato dell’assenza di politiche in difesa dei bambini di strada da parte dello Stato e dell’indifferenza da parte della società civile.
Oggi alcuni di quei bambini che hanno avuto esperienza di vita di strada fanno parte del Progetto Giovani e qua hanno la possibilità di riscattarsi e raccontarsi, ed è quello che dicono loro stessi. Come in questo rap scritto dai ragazzi sul quale è stato montato un video durante le ore di Audiovisual.
Queste alcune frasi significative estratte dal testo del rap:
Alô, governo, abra os olhos pra Rocinha: nosso povo guerreiro é alvo de desrespeito, o abandono das famílias sem o pão de cada dia à mercê da violência na maior hipocrisia!”
Ehilá governo, apri gli occhi su Rocinha: il nostro popolo guerriero è oggetto di mancanza di rispetto; abbandonare le famiglie, lasciarle senza pane tutti i giorni e in balia della violenza é la piú grande ipocrisia!“Estava triste e magoado com muitas situações, mas encontrei minha alegria no Projeto Jovem da Rocinha aprendi a respeitar aprendi a me amar vou cantando esse rap e ninguém vai me parar.”
Ero triste e sofferente per molte situazioni, ma incontrai l’allegria nel Progetto Giovani della Rocinha, imparai a rispettare, imparai ad amare me stesso, canterò questo rap e nessuno mi fermerà.
Dalla favela ad oggi, sono passata per un viaggio di 2300 km per visitare parte della costa Nord-Est del Brasile. Il viaggio si è diviso in tre tappe, percorse tra aerei e autobus: Olinda, Salvador, Arraial D’Ajuda. Tre realtà molto diverse tra loro e a loro volta diverse dalla favela.
A Salvador percepisci un reale senso di abbandono, e anche qua il problema dei meninos de rua, sembra essere molto attuale. Sono tanti i bambini che ti fermano e ti chiedono dei soldi. Un pomeriggio uno di loro ci avvicina e ci chiede di accompagnarlo in un negozio e di comprargli del latte in polvere che avrebbe dato al suo fratellino. Con una buona dose di ingenuità, che ci fa pensare che comprargli del cibo sia meglio che dargli dei soldi che verrebbero poi mal spesi, compriamo un ottimo prodotto per neonati e glielo diamo. Scopriremo in seguito che i bambini rivendono questi prodotti per avere del cash utilizzabile.
E così ti rendi conto di come certi meccanismi siano difficili, quasi impossibili da cambiare.
Il Brasile è un paese immenso, con tantissime realtà che si scontrano tra loro. E’ un paese da vedere e osservare, da esplorare. Ed è difficile da capire.
Ho sempre pensato che la conoscenza e la possibilità di confronto siano i modi migliori per capire. Da qui anche la decisione di esplorare altri luoghi fuori dalla favela Rocinha.
E’ così che si rientra a Milano, con delle conoscenze in più, una ricchezza e una possibilità di condivisione e confronto che ti portano inevitabilmente ad osservare in modo diverso la tua realtà. Come se ogni viaggio fosse un tassello in più verso la conoscenza non solo del mondo, ma anche di se stessi, con quella consapevolezza che a volte ti dà la spinta a voler migliorare la realtà a cui appartieni.
E’ così che si rientra a Milano.
I 'meninos de rua', l'altra faccia del Brasile che non si può raccontare
-R.C.- I ‘meninos de rua, i bambini di strada in Brasile sono oltre sette milioni, ma ve ne sono almeno altri potenziali 30 milioni, i minori che vivono in famiglie con un reddito mensile inferiore ai 7° dollari.
Un’esistenza fatta di violenza impunita, ogni giorno quattro bambini vengono assassinati e i loro carnefici non sono neppure perseguiti in un Paese dove vige la più assoluta mancanza di regole.
Bambini nel mirino dei poliziotti, dei gruppi di sterminio finanziati da commercianti e imprenditori con mire espansionistiche all’interno delle favelas, dei giustizieri che hanno il controllo del traffico di droga e dello sfruttamento della prostituzione minorile.
Bambini e bambine schiavizzati e reclusi in postriboli, oppure costretti a lavorare in condizioni disumane nelle miniere d’oro.
Una realtà paragonabile alla punta di un iceberg: i bambini di strada sotterranei sono molto più numerosi di quelli che si vedono, ma non infastidiscono una società civile colpevolmente indifferente.
Nel Nord Est del Brasile, la zona più povera del paese sudamericano, è assolutamente regola che bimbe di nove, dieci anni, siano prelevate dalle famiglie con la promessa di un lavoro come cameriera, per ritrovarsi poi in qualche sordido lupanare ad alimentare il mercato della prostituzione minorile, prede di orchi senza scrupoli in arrivo dall’Europa, dagli Usa o dal Giappone.
Rio, guida la tragica classifica dei massacri, con 350 omicidi in sei mesi, poi San Paolo, Fortaleza, Brasilia. Ragazzini accoltellati o freddati a revolverate per le strade che cominciano ad essere invase dai turisti che assisteranno, ignari oppure no, ai mondiali di calcio.
Il Brasile sta volando in termini di aumento del Pil e benessere economico, inversamente proporzionale la condizione sociale del ceto medio basso dei suoi abitanti.
Fino a pochi anni fa gli abitanti delle favelas metropolitane erano il 30% della popolazione totale del Brasile, oggi raggiungono il 70%. Ghetti dove vivono decine di migliaia di persone ai limiti della sopravvivenza, con la disoccupazione al 50% e l’analfabetismo al 90, inurbamento dove il crimine è pane quotidiano.
E i meninos de rua vivono in strada, per sopravvivere, per lavorare, dove lavorare non significa altro che furto, spaccio, prostituzione, rapine. Piccoli delinquenti senza possibilità di scelta e che, ammesso che ci arrivino, diverranno adulti criminali. Per questo, la società civile li teme, li combatte, li sopprime: null’altro che un problema da risolvere, non importa come, ci pensano gli squadroni della morte.
Lo scenario è infernale, una ragazzina di quindici anni violentata brutalmente da un poliziotto che l’aveva arrestata, un’altra dilaniata dai cani aizzati dalla polizia all’interno di una chiesa, dove la piccola aveva cercato riparo dopo aver rubato un orologio. Un’altra ancora che mostra i seni devastati dall’Aids per sfuggire allo stupro.
Ragazzini che vivono tutti insieme, nel terrore di essere massacrati dalla temutissima Rota, i reparti speciali della polizia brasiliana, che ogni anno fa strage dei minori senza diritti.
Meninos de rua che sniffano colla o smalto per sfuggire all’orrore della realtà che sono costretti a vivere, ragazzine che non si accorgono neppure di essere violentate, prima le addormentano con il gas, meno grane.
Bambine di poco più di dieci anni costrette a masturbare poliziotti quarantenni, quindicenni incinte al settimo mese che perdono il figlio dopo essere state prese a stivalate nella pancia mentre dormono sul marciapiede sotto un cartone, colpi di frusta distribuiti alla cieca sui corpi addormentati.
E le bambine che rimangono incinte rifuggono l’aborto, nessun menino de rua ha mai abortito spontaneamente, è una regola non scritta, un codice di comportamento: un figlio significa rompere la solitudine e la mancanza di affetto.
E’ l’affetto la costante tra tanta violenza, la voglia di tenerezza, perché comunque rimangono bambini, come raccontano i volontari che tentano di occuparsi di loro “Dovreste vedere i loro occhi quando ascoltano per l'ennesima volta la loro fiaba preferita: il brutto anatroccolo. In fondo è così che si sentono: ma sperano ancora di poter diventare uno splendido cigno". “
Il degrado avanza nelle periferie urbane
Il degrado avanza nelle periferie urbane
Quando, ormai qualche mese fa, le periferie parigine andavano in fiamme, con gli scontri tra le bande giovanili e le estese proteste delle fasce piu' disagiate della popolazione, molti politici italiani si affannavano a precisare che in Italia certe cose non sarebbero mai potute accadere. Alcuni ne approfittavano per celebrare il fallimento delle "società multietniche". Romano Prodi ebbe a dire che le periferie italiane non stavano meglio, e Forza Italia gli addito' l'ennesima etichetta, quella di "incendiario". Eppure, almeno in quell'occasione, Prodi aveva ragione.
Negli ultimi giorni si sono sommate tutta una serie di notizie che danno un'idea dello stato di salute delle nostre periferie.
L'ultima da Napoli, dove un turista americano, derubato della fotocamera, ha provato a recuperarla inseguendo i due ladri in vico dei Maiorani, nel cuore della vecchia Napoli. Ne ha raggiunto uno, ma il suo tentativo di recuperare il maltolto è stato vanificato dalla discesa in strada di decine di residenti, accorsi in difesa dei due scippatori, pronti addirittura a malmenare il giovane turista.Questo tanto per dare un'idea del senso di legalità di alcune zone delle nostre città.
Ma i luoghi del degrado sono molto piu' numerosi: dai carruggi genovesi a San Salvario a Torino, per non parlare di Milano con via Padova, via Adda, fino alla stessa Piazza Duomo che di notte si trasforma in un centro del malaffare. La zona della stazione centrale, laddove ogni anno approdano milioni di visitatori, è il peggior biglietto da visita possibile per la metropoli milanese.
A Bari, il quartiere San Paolo è talmente insicuro che le stesse forze dell'ordine vi si muovono con estrema prudenza. Incredibilmente, li' è stato scelto di installare un CPT, tanto per ulteriormente peggiorare la situazione.
Per non parlare del Librino di Catania, o dei quartieri spagnoli e di Scampia a Napoli. E tornando al Nord, le zone delle stazioni di Brescia e Vicenza, o l'incredibile situazione del Quartiere delle Rose a Pieve Emanuele, a due passi da Milano 3.
Un degrado che si vede e si respira: basta andarci in certi posti, preferibilmente a piedi, per gustarne appieno gli odori, osservarne le brutture e vivere quella sensazione di insicurezza cui sono confrontati quotidianamente i loro abitanti.
La politica salottiera pare inerte. Al piu' si predispone qualche ristrutturazione parziale, qualche supermercato, qualche poliziotto in piu', ma i problemi restano e si aggravano.
Ormai sembra che il cittadino si stia abituando a convivere col degrado, ad accettarlo, ad adornare gli interni del proprio nido, senza troppo preoccuparsi del disastro che lo circonda.
Uma história do comando vermelho Rj ©🔴
Orlando JOgador. |
Uê. |
Isaias do Borel. |
Prisão do Marcinho PV no Complexo
Morro do Adeus. |
Marcinho PV. |
Administração do Marcinho PV dentro das cadeias
Fernandinho Beira-Mar. |
Celsinho da Vintém. |
A ideia era que a Rebelião fosse algo rápido. Queriam apenas entrar na cela do ADA, executar os comparsas do Uê e quebrar o braço financeiro da facção rival.
O crescimento do império no Comando Vermelho
Tota. |
Seus soldados e comparsas começaram a notar a mudança, e iniciaram um processo de fritura do Tota para o Marcinho.
Mas o primeiro tiro nem foi disparado com tanta gravidade, porque rapidamente o grupo liderado pelo traficante Luciano Martiniano da Silva, o Pezão, começou a caçar o Jansen e o Tota no Complexo do Alemão.
Pezão. |
Conseguiram matar os dois traficantes. O Tota em especial, foi torrado no alto do Complexo do Alemão. Esse churrasco de bandidos no Alemão, entrou em pauta para a Policia e desvendaram que seria o sucesso do Tota no Complexo.
.
QG do CV até a UPP
Para protestar melhorias dentro dos presídios, o Marcinho encabeçou uma ordem para que tocassem o terror na cidade do Rio de Janeiro. Tacando fogo em ônibus e matando policiais.
Na época estava na moda ocupar as comunidades com UPP. Era uma novidade para todos. Rapidamente ganharam autorização do Governo para realizar a ocupação.
FB. |
Quando começou o processo de ocupação no Complexo da Penha e Alemão, a ordem que veio dos presídios era pra não abandonar o morro, e confrontar de frente os tanques de guerra, helicópteros e as dezenas de soldados que subiram no Complexo.
Mas ninguém compareceu na reunião no alto do Alemão, e todos trataram de fugir como dava. Se passando por morador, trabalhador, Pastor ou o quê dava no momento.
Faustão e Branquinho. |
Uns se renderam, outros não. Mas a maioria foi morto em confronto com o Exército. E teve bandido que tentou fugir com armamento, ouro e dinheiro, e foi pego na saída do Complexo.
Finalizando, o Complexo do Alemão e Penha foram pacificados (?) pela UPP.
Abrigou muitos refugiados do Comando Vermelho, e aumentou consideravelmente os lucros da facção, mas não chegava perto dos lucros exorbitantes dos Complexo da Penha e Alemão.
Marreta. |
Claudinho e Fú |
Benemário. |
No Rio o Marreta expandia, o Fù e Claudinho cuidava, e os matutos repassavam as drogas e negociavam a compra de armas.
Na mesma facilidade que ele ordena ataques, ele ganha mais processos criminais na sua ficha de crimes. Todos interceptados pelo governo.
Mas o seu nome ficou registrado no “rol” dos criminosos históricos na cidade do Rio de Janeiro.